Segni di un passato che non ritornerà più

Val di Bresimo, Malga Preghena

Una donna anziana esce dalla porta del suo maso – uno dei tanti presenti sulle balze verticali delle valli sudtirolesi – e si incammina verso la stalla. È il 5 gennaio, la vigilia dell’Epifania. C’è poca neve, come del resto in questi ultimi anni capita spesso. È accompagnata dal marito con la torcia accesa e dietro, in fila, i figli, dal più grande al più piccolo. Arrivata davanti alla vecchia porta di larice estrae un gesso bianco e, con mano ferma, traccia delle lettere sull’architrave: K-M-B, più la data di quell’anno. Un gesto veloce, antico, ripetitivo. Lo compie ogni anno, variando la data. Prima di lei lo aveva fatto sua madre e prima ancora sua nonna e il ricordo si perde nelle nebbie del tempo. Una scritta che dura nel tempo, rigorosamente sulla porta principale e su quella della stalla. Il significato, dal sapore apotropaico, è ambiguo: per qualcuno le iniziali sono quelle dei tre Re Magi, Caspare, Melchiorre e Baldassarre. In realtà, anticamente, le tre iniziali erano quelle della benedizione latina “Christus mansionem benedicat”, ovvero “Cristo benedica questa casa”.

Il giorno dopo, sotto quella scritta, passerà il capofamiglia che spargerà il fumo – incensare/sciumentèr – in tutte le stanze della casa, compresi la stalla e il fienile. Una scritta questa che rimane per un anno, per essere poi rinnovata. Ma ci sono altre scritte che il vento ha portato o porta via con sé. Pensiamo alle decine di antichi “baiti” sull’Alpe di Siusi o alle “case da mont”, edifici recentemente ristrutturati. Le vecchie assi, tarlate e sbriciolate dal tempo, se non le ha acquistate lo scultore gardenese Adolf Vallazza per formare il suo bestiario alpino, vanno a finire nel fuoco. Eppure su quelle assi si può trovare un mondo. Così come l’universo alpino si dispiega nelle travi delle malghe, sulle porte delle casere, dei vecchi masi. Segni, parole, disegni, numeri. Incisi, scolpiti, dipinti. Ricordi, memorie, avvisi, speranze, sogni, desideri, insegnamenti. Tutto questo si ritrova nel variegato mondo alpino, lasciato dai contadini, dai bauern, dai pastori, dalle donne, dai bambini e dai viandanti. Ad esempio tutto l’anfiteatro prativo dell’alta Valsorda, nel gruppo del Latemar, è da sempre terra di pascolo. Per l’alpeggio dei bovini c’è malga Valsorda, per le capre e le pecore qualsiasi luogo. Le pareti del Cogol di Valsorda traboccano di scritte pastorali vergate con il “bol” o “bol de bèsa”, un’ocra rossa a base di ossido di ferro naturale. Si vede un cavaliere con la spada sguainata e sopra la data 1884. Altre date segnano la presenza dei pastori: 1840, 1856, 1863, 1868. Sigle: DSV 1868 li 11 ottobre passo per qui adio”. Quindi una chiesa grande con vicino una piccola, probabilmente una rudimentale copia della chiesa
di San Vigilio a Moena e dell’adiacente antichissima chiesetta di San Wolfango. Diverse sigle ci fanno capire che qui hanno lavorato padri e figli.

Di queste testimonianze sparse per i nostri monti ce ne sono a migliaia. Ma stanno scomparendo. E con loro scompare un mondo fatto di magia, conoscenza pratica, devozione, mappe territoriali. Il viandante disattento o l’alpinista sportivo transita oltre senza soffermarsi a carpire i segreti di una croce incisa su una porta e il suo profondo valore simbolico nel tener fuori, durante l’inverno quando il malgaro e le bestie sono scesi a valle, le anime perse vaganti per i territori “altri”.
Oppure il valore di un termine scolpito, della forma
di un edificio religioso in cui si depone tutta la speranza di una vita legata al tempo meteorologico. O le iniziali graffite su di un affresco. Queste parole e frasi, date e segni, sono diari pubblici di un passato che non ritornerà più. È una storia con la S maiuscola fatta di quotidianità: “Come sarebbe bello quando scende la sera far l’amore con una ragazza della Fiera. 14.8.1936”, c’è scritto su una trave della casera di Coston Val di Stua, sul Lagorai.

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Pubblicato da Fiorenzo Degasperi

Fiorenzo Degasperi vive e lavora a Borgo Sacco, sulle rive del fiume Adige. Fin da piccolo è stato catturato dalla “curiosità” e dal demone della lettura, che l’hanno spinto a viaggiare per valli, villaggi e continenti alla ricerca di luoghi che abbiano per lui un senso: bastano un graffito, un volto, una scultura o un tempio per catapultarlo in paesi dietro casa oppure in deserti, foreste e architetture esotiche. I suoi cammini attraversano l’arte, il paesaggio mitologico e la geografia sacra con un unico obiettivo: raccontare ciò che vede e sente tentando di ricucire lo strappo tra uomo e natura, tra terra e cielo, immergendosi nel folklore, nei miti e nelle leggende. fiorenzo.degasperi4@gmail.com