Se vuoi la pace, prepara la pace

Dal 6 al 9 giugno si vota alle europee. Come ho scritto nell’articolo del mese scorso, pare che in Italia questo voto sia solo un metro per capire la tenuta dei partiti. In realtà queste elezioni potrebbero essere l’ennesima occasione per discutere sull’Unione e i suoi obiettivi, ma nel dibattito politico c’è poco spazio per riflessioni a lunga gittata, su questo come su altri temi. I politici-influencer tirano avanti a slogan usurati e retorici.

Che fare, dunque, al momento di andare alle urne? Dopo aver cercato come minimo di capire i rapporti tra i partiti italiani e le grandi coalizioni europee, con quale criterio scegliere? Personalmente mi concentrerò su un solo punto nei programmi: nel momento in cui il progetto economico e sociale europeo è quantomeno confuso, anche perché è difficile mettere assieme le spinte di paesi con governi di parti opposte, le posizioni che più sembrano essere importanti sono quelle relative alla politica estera, anche perché siamo direttamente o indirettamente coinvolti in due conflitti sanguinosissimi e potenzialmente in grado di scalare verso qualcosa di più esteso.

La scena politica, in questo senso, sembra essere terribilmente deludente: un ammasso di frasi fatte, di appelli nel vuoto, di timide reazioni a eventi gravissimi. La parola “pace”, forse considerata utopica o naif, ha lasciato ormai spazio in quasi tutti i partiti a considerazioni tecniche per giustificare un intervento dovuto o mancato, o nei casi peggiori a proposte inconcepibili sulle spese di riarmo. Davvero dobbiamo accontentarci del Vaticano come unico stato che incessantemente propone, senza grandi esiti visti i suoi limiti di potere, un cessate il fuoco e una ragionevolezza? 

Riguardo al fronte palestinese sono forse aumentati i tweet, molto cauti, di condanna alla violentissima reazione israeliana contro i civili, ma praticamente nessun politico di spicco ha usato parole forti o cercato di proporre con decisione un tentativo di mediazione. 

Dall’altra parte, sulla guerra in Ucraina, che ha già causato mezzo milione di perdite (morti e feriti gravi), le parole del presidente del Consiglio Europeo Michel (“se vuoi la pace, prepara la guerra”, “non servono parole, servono armi”) fanno pensare di essere nelle mani di politici incapaci di cercare una soluzione matura, che si giustificano dietro a una supposta follia del dittatore russo. Viene sempre più naturale pensare male, cioè convincersi che i conflitti convengano molto a qualcuno (grandi lobby di produttori di armamenti e di edilizia?), qualcuno in grado di manipolare la politica, o che i politici stessi, come è sempre accaduto, cerchino in una vittoria militare di rimediare a sondaggi sfavorevoli, cercando di presentarsi come difensori della patria in pericolo (Putin e Netanyahu sono casi palesi, ma forse anche nella “pacifica” Europa c’è qualcuno che fa lo stesso?). Pensare di presentare i palestinesi, gli israeliani o i russi come interlocutori sordi, incapaci di dialogare, è falso e gravissimo: lo spazio c’è sempre per chi lo cerca. Voterò per qualcuno, se c’è, che lavora solo in questo senso. Al di là delle posizioni religiose, non si può non condividere ciò che ha detto il capo della CEI, il cardinale Zuppi (proprio in risposta a Michel): “se vuoi la pace, prepara la pace”.

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Pubblicato da Alessandro Zanoner

Nato a Trento nel 1993, insegnante di italiano, latino e storia nelle scuole superiori. Suonatore di strada con umili tentativi da cantautore e scrittore. Mi piacciono la montagne e il Mar Tirreno; viaggio con una buona frequenza, soprattutto in centro Italia. Un pomeriggio a Roma una volta all'anno, minimo. Pavese, Moravia ed Hermann Hesse i miei autori preferiti in narrativa. Per la musica De Gregori, Vinicio Capossela, Lucio Battisti e Giovanni Lindo Ferretti.