Il regalo di nozze più ingombrante di sempre

L’Hotel Elephant a Bressanone

Nel dicembre 1551, il corteo nuziale dell’arciduca Massimiliano II d’Asburgo e dell’arciduchessa Maria di Spagna, dopo essere sbarcato a Genova e aver attraversato alcune importanti località del Nord italia, inclusa Trento, fa sosta nella città principe-vescovile di Bressanone. Con sé porta l’ingombrante dono del re João III del Portogallo…

Trovandosi a passeggio per la città vescovile di Bressanone e volendo ammirare i meravigliosi affreschi del chiostro del duomo, ci si recasse presso la III arcata e si alzasse il naso verso le volte gotiche, esattamente al di sopra del portale d’accesso alla chiesa di S. Giovanni Battista, in corrispondenza del drammatico “Ecce homo” affrescato dagli abili pittori della bottega di Lienhart Scherhauff (Leonardo da Bressanone), nel pennacchio si avrebbe la visione di uno strano animale proboscidato, con orecchie da pipistrello e zoccoli equini, che incede solenne mentre un soldato rivestito d’armatura lo colpisce al ventre con una lancia. Fossimo in grado di decifrare il testo latino posto alla sinistra della scena, vi leggeremmo la spiegazione della stessa: come narrato nel I libro dei Maccabei al capitolo 6, trovandosi gli Ebrei in battaglia contro l’ennesimo tiranno straniero, il re Antioco Epifane, uno dei soldati giudei, Eleazaro, “vide uno degli elefanti” dell’esercito nemico “protetto di corazze regie, sopravanzare tutte le altre bestie e pensò che sopra vi fosse il re; volle allora sacrificarsi per la salvezza del suo popolo e procurarsi nome eterno”. Si scagliò quindi contro i nemici e, scivolando sotto il pachiderma, “lo infilò con la spada e lo uccise; quello cadde sopra di lui ed Eleazaro morì”. Il capitolare del duomo che, verso la metà del XV secolo, commissionò questo e gli altri dipinti dell’arcata (quelli delle volte risalgono al 1473), se potesse ci spiegherebbe che tra quelle rappresentazioni dell’Antico e del Nuovo Testamento c’è un rapporto tipologico, ossia che le une sono prefigurazione delle altre, così come il sacrificio di Eleazaro è “prima figura” della crocefissione di Cristo, l’Agnello innocente che immola se stesso per l’umanità.

Massimiliano II e la sua famiglia, Giuseppe Arcimboldo (ca. 1555)

Digiuni però di nozioni di iconografia cristiana, certamente ci limiteremmo ad osservare incuriositi e deliziati l’inconsueta rappresentazione del pachiderma, ritratto dall’artista tardomedievale secondo le informazioni libresche che, all’epoca, si potevano ricavare solo dai bestiari, spesso improbabili ricostruzioni delle caratteristiche letterali ed allegoriche di animali esotici e mitologici. Bizzarro prodotto della fantasia di un pittore arcaico l’elefante del chiostro brissinese, parto dell’inventiva di un allievo del maestro Lienhart che, senza dubbio, un esemplare di quel genere in carne ed ossa non lo aveva mai incontrato in vita sua e che, in ultima analisi, era interessato piuttosto ad illustrare l’allegoria sacra che non le fattezze precise dell’animale.

Ingresso della stube “Elefant” dell’omonimo hotel

Ma gli abitanti di Bressanone, circa un secolo dopo, un autentico elefante – fatto inaudito – lo avrebbero visto realmente avvicinarsi alle porte della loro città tra le montagne. Il 14 novembre del 1551 a Genova, infatti, era sbarcato, proveniente dalla Spagna, il corteo dell’arciduca Massimiliano d’Austria (1527-1576), dal 1564 imperatore del Sacro Romano Impero, e della di lui consorte e cugina Maria di Spagna (1528-1603), figlia di Carlo V, di ritorno dalle nozze celebrate a Madrid nel 1548. Il loro matrimonio rappresentava l’unione del ramo spagnolo con quello austriaco della sempre più potente dinastia asburgica. 

I due Asburgo portavano con sé, tra le altre cose, l’ingombrante dono dello zio re Giovanni III del Portogallo, ovverossia un imponente elefante indiano alto 12 piedi, circa 4 metri, cui era stato dato il nome di Soliman, per scaramanzia lo stesso dell’odiato sultano ottomano minaccia della Cristianità. La coppia arciducale e la fitta schiera di cortigiani boemi ed ungheresi che l’accompagnavano si erano messi rapidamente in viaggio alla volta di Vienna, attraversando la pianura padana e toccando diverse località del Norditalia, tra le quali Piacenza, Cremona, Mantova, Verona e Padova, fino a giungere a Trento dove, il 13 dicembre, facendo trionfale ingresso in città impressionò con Soliman non solo il popolo festante, ma anche i padri conciliari, i quali celebrarono l’apparizione del mirabile monstrum con uno spettacolo di fuochi d’artificio. Tra i presuli presenti ovviamente Cristoforo Madruzzo che, in qualità di Principe-vescovo, svolgeva le funzioni di padrone di casa al Concilio ecumenico, essendo al contempo amministratore della diocesi di Bressanone.

Curiosamente ben poche notizie si tramandano sulle tappe dell’illustre carovana in Italia settentrionale. Sappiamo, però, che dopo i festeggiamenti tridentini Soliman proseguì il suo viaggio per Ora/Auer (dove esiste in suo ricordo un hotel “Elephant”), Bolzano e Bressanone, Innsbruck, Hall, Passau e Linz giungendo infine nella capitale asburgica nell’aprile del 1552. Il 14 aprile Massimiliano, con un corteo trionfale, provocò lo stupore dei viennesi assiepati lungo le strade per ammirare l’esotico animale. 

Elefantenhaus, Vienna, Graben, 1740

Prima di ciò, però, il corteo aveva fatto una sosta un po’ più lunga nella città vescovile sull’Isarco. L’Arciduca aveva dovuto trattenersi a Bolzano per incontrare gli Stände della Dieta tirolese, ma aveva mandato avanti il suo magnifico codazzo con l’elefante Soliman, il quale fece il suo ingresso nel territorio brissinese la sera del 18 dicembre, atteso dalla popolazione in visibilio. “Il pachiderma procedeva con il suo corteo tra una fitta schiera di convenuti verso la propria meta: l’albergo al margine settentrionale della città” (Hans Heiss, Il percorso dell’Elephant, Folio, Bolzano/Vienna 2002, 16). Il proprietario della locanda Am hohen Feld fu ben lieto di ospitare il regal bestione nella sua stalla per tutto il tempo della sosta del seguito arciducale, che durò fino al 2 gennaio 1552 quando arciduchi, dignitari, servitori, valletti e pachiderma ripresero il loro cammino per il Nord. Una leggenda popolare brissinese, più facezia che verità, racconta che la sera di S. Silvestro ci si domandava quale menù di festa avrebbe apprezzato il possente ospite della stalla dell’Hohen Feld; qualcuno pensò bene che 50 chili di riso al latte, con uvetta e cannella, ed un ettolitro di punch caldo potessero andare. Si dice che il “banchetto” di S. Silvestro venne apprezzato da Soliman, anche se resta poco chiaro chi si prese la sbornia più solenne, se l’animale o i suoi custodi!

Sta di fatto che, dopo il soggiorno di Soliman nella locanda brissinese, il suo proprietario Andrè Posch decise di ribattezzarla Zum Elephanten, l’odierno Elephant di via Rio Bianco, entrato nella storia cittadina con tutti gli onori. Ancora oggi, orgoglioso pendant all’acerba raffigurazione del chiostro del duomo, il ritratto cinquecentesco di Soliman saluta dalla facciata del prestigioso albergo che, passato di mano in mano, dal 1869 appartiene alla schiatta di origine carinziana degli Heiss.

Itinerario del corteo di Solimano da Valladolid a Vienna, dal film The journey of the elephant Soliman

Tornando al nostro elefante indiano, una volta giunto a Vienna fu destinato al Serraglio del castello di Kaiserebersdorf, istituito dall’arciduca Massimiliano II appositamente all’uopo. Lì, malauguratamente, Soliman si spense già il 18 dicembre del 1553 a causa forse di una fatale combinazione tra l’errata alimentazione ed il clima rigido. Lungo il Graben di Vienna sino alla seconda metà del Settecento poteva ammirarsi sulla facciata del cosiddetto Elefantenhaus (abbattuto nel 1866 per allargare la strada) un bassorilievo raffigurante il nostro Soliman, curiosamente noto nella memoria popolare della capitale asburgica come Pepi.

Per volontà imperiale una zampa dell’animale nel 1554 fu donata dal Maestro superiore delle stalle auliche, Francisco De Lasso, al borgomastro viennese Sebastian Huetstocker il quale, con bizzarra intenzione, ne fece utilizzare le ossa per confezionare un curioso sgabello a tre piedi. Dal 1678 l’inusitato sedile è conservato nel monastero di Kremsmünster, nell’Austria Superiore. 

Eleazaro e l’elefante, chiostro del duomo di Bressanone. Scuola di Leonardo da Bressanone (ca. 1470)

Il resto dello scheletro del pachiderma, esposto in un gabinetto di scienze naturali, nel 1848 purtroppo finì preda delle fiamme di un incendio, mentre la carcassa, imbalsamata con cura, nel 1572 era stata donata dall’imperatore Massimiliano II al duca Alberto di Baviera. La mummia del grosso animale nel 1807 fu trasferita nella Collezione Statale di Scienze Naturali di Monaco ed, infine, nel 1928 nel Museo Nazionale Bavarese. Fu proprio negli scantinati del Museo che i resti mortali di Soliman marcirono a causa delle muffe e, dal 1950, furono definitivamente cancellati dall’inventario dei pezzi di esposizione.

Termina in questo modo inglorioso la plurisecolare fiaba dell’elefante Soliman che, tuttavia, a Bressanone viene ancora celebrata nelle magnifiche rappresentazioni di luci e musica che, ogni inverno, si ripetono nel cortile della Hofburg, e perpetuata nelle narrazioni degli originali tour storico-teatrali offerti dal locale Ufficio turistico, le cosiddette “Erlebnisführungen: Bizzarrie di un elefante/Elefantenrüssel” (https://www.brixen.org/it/rendezvous.html).

Metafora delle strabilianti novità dell’espansione coloniale verso le Indie e del crescente potere della dinastia asburgica agli inizi dell’era moderna, l’elefante Soliman (o Beppo, o Pepi), a Bressanone figurativamente eternato “zu eren des grossmächtigsten Fürsten und Herrn Maximilian zu Behmen Kunigreich Ertzherzog zu Oesterreich etc.” (“ad onor del magnifico Principe e Signore Massimiliano re di Boemia arciduca d’Austria ecc.”), è ormai da considerarsi a ragione l’emblema più affascinante, ancorché insolito, della storia millenaria di una città che, quasi cinquecento anni fa, seppe offrirsi come quinta teatrale allo spettacolare transito di una simile meraviglia della Natura, ancora “sconosciuta nei paesi tedeschi”.

Die Bischöfl Residenz Stadt Brixen in Tyrol. Gabriel Bodenehr, 1731

Le Bizzarrie di un elefante

Con le guide e gli attori del tour storico-teatrale “Bizzarrie di un elefante“ si viaggia nel tempo alla scoperta di aspetti inconsueti della storia di Bressanone, ascoltando curiosi aneddoti sugli antichi abitanti della città vescovile ed incontrando personaggi piovuti dal passato, come Matthias, la guardia della porta cittadina nel XII secolo, o Michael, garzone della bottega del grande pittore, il maestro Leonhard Scherhauff. Seguendo  le orme dell’elefante Soliman tra le arcate del chiostro del duomo e sotto i portici della via principale, il percorso si snoda fino all’antica locanda “Zu hohen Felden”, dove si apprende direttamente dal personale di servizio dell’epoca per quale motivo l’imperatore Giuseppe II d’Austria si fermò in incognito a Bressanone nel 1769.

Fino alla scorsa stagione, le guide storico-teatrali a Bressanone si tenevano di norma ogni sabato, in lingua tedesca ed in lingua italiana. Purtroppo la difficile situazione causata dalla diffusione del Covid19 mette in discussione l’organizzazione dei tour per la stagione estiva. Per mantenersi comunque informati, è bene consultare il sito: https://www.brixen.org/it/rendezvous/tour-storico-teatrali/bizzarrie-di-un-elefante-di-un-oste-e-di-un-rampollo-regale-la-colorita-storia-della-citta-di-bressanone.html 

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Pubblicato da Andrea Vitali

No, non è lui, il celebre medico-scrittore di Bellano! Questo Andrea Vitali, nato a Roma e naturalizzato sudtirolese, è più modestamente un insegnante di italiano seconda lingua nella scuola superiore tedesca dell’Alto Adige. Attualmente tiene anche corsi di letteratura italiana presso la Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano. Vivendo da decenni in Alto Adige/Südtirol ha imparato ad amare la storia, le culture e le lingue delle terre dell’antico Kronland Tirol. Per questo, dal 2006 è anche guida storico-culturale professionale del territorio altoatesino. Nel 2009 ha pubblicato un ampio testo storico-artistico sulla città medievale di Chiusa/Klausen e sul complesso monumentale di Sabiona/Säben, mentre nel 2019 è apparso per i tipi di Curcu&Genovese il suo ultimo libro "La scuola e la svastica", uno studio sulle condizioni della scuola italiana altoatesina durante il breve periodo dell’occupazione nazista.