Forse per l’occasione avremmo dovuto cambiare il titolo della rubrica, optando per “un calice a casa di”, ma ahinoi sono solo le dieci del mattino e a dire la verità un caffè è proprio quello che ci vuole. L’occasione è quella di essere ospitati a casa di Matteo Lunelli, Presidente di Cantine Ferrari, sì, insomma – lo sapete – una delle cantine più prestigiose del mondo, quella delle celeberrime bollicine “inventate” a Trento da Giulio Ferrari nel 1902 e poi portate al successo proprio dalla famiglia Lunelli, di cui Matteo rappresenta appunto la terza generazione.
Niente bollicine dunque, questa mattina. Intanto, mentre il caffè fuma nella tazzina, ci consoliamo con il brio di Bubble (proprio “bollicina” in inglese), il barboncino che – fresco di bagnetto – scorrazza simpaticamente tra il soggiorno e la cucina. Matteo Lunelli e la signora Valentina ci accolgono con grande cortesia. Tanto per cominciare godiamo della magnifica vista sulla città che l’appartamento offre: la giornata è bellissima, l’aria frizzante, l’occasione è unica e non ce la lasciamo certo sfuggire. Una panoramica a 360 gradi che lascia a tratti senza fiato: la Torre Civica, Torre Vanga, il Doss Trento e tutto il resto. Un palco a teatro di uno spettacolo chiamato “Trento”. Ma è novembre, ahinoi, e dobbiamo rientrare prima che ci vengano compromesse alcune funzioni vitali. E poi siamo qui per sentire la storia di questo elegante ragazzo nato nel 1974 che ha accettato – assieme ai suoi cugini – di portare avanti un sogno che da trentino è presto diventato “italiano”, lo spumante che porta con orgoglio il made in Italy nel mondo.
Matteo è figlio di Giorgio Lunelli, uno dei cinque eredi del capostipite Bruno che nel 1952, indebitandosi fino all’osso del collo, acquistò le Cantine Ferrari dal mitico Giulio, il grande vecchio. Già proprio lui… Diciamo la verità: tra una domanda e una risposta, tra un caffè e un croissant, nell’elegante casa arredata con gusto unico, il cronista ha la sensazione di avvertire a tratti una presenza a cui è difficile però dare corpo. È qualcosa che ha a che fare con la vigna, le botti, l’attesa e il tempo stesso. Come se da uno dei milioni di universi paralleli al nostro qualcuno stesse sbirciando con aria compiaciuta, ascoltando una storia che già conosce molto bene.
Una storia trentina quella di Matteo, certo, che però parte un po’ più a ovest, a Milano, nei ruggenti anni Ottanta, al Liceo Carducci, già frequentato da mostri sacri ognuno nel loro campo: Bettino Craxi, Umberto Veronesi, Mario Monicelli, ecc.).
Ma che ricordo ha Matteo Lunelli di quegli anni? “Più che la Milano da bere mi ricordo che ero romanticamente innamorato di quello che studiavo. Erano gli anni della formazione personale e intellettuale…” “Gli anni più belli” suggerisce Valentina con una nota di malinconia, ma il marito la corregge subito: “Gli anni più belli sono quelli che verranno…”. Poi continua: “I miei compagni appartenevano alle estrazioni sociali più varie. Questa è una cosa che mi ha arricchito molto. È lì che ho cominciato ad amare le persone creative e appassionate a quello che fanno”.
Durante gli anni universitari conosce Valentina Coralini, la ragazza milanese che diventerà sua moglie. E dopo la laurea (“110 cum magna laude”) alla Bocconi, Matteo intraprende la strada che il lettore impegnato a scorrere questo articolo non si aspetterebbe. “Non era scontato che sarei andato a lavorare alle Cantine Ferrari. D’altra parte mio padre è l’unico dei figli che ha intrapreso una strada completamente diversa pur restando azionista e rimanendo molto legato al Trentino e alla famiglia. Penso che fosse l’unico che si faceva mandare i quotidiani locali via posta ordinaria… E se li leggeva nel week end. E io con lui”.
Insomma, occupare una posizione in Ferrari era un’opportunità e non un dovere. Non era così scontato, insomma. E comunque c’era tempo per fare scelte di quel tipo. Come quando fai invecchiare un vino: occorre attendere la giusta maturazione… Ecco dunque che Matteo prende l’aereo e vola a New York, alla banca d’affari Goldman & Sachs. Il mondo della Finanza lo abbranca e cerca di tenerselo stretto, sottraendolo per il momento alle grinfie dell’enologia. Siamo nel 2000, il nuovo scintillante millennio è appena nato, il web è un cucciolo e la finanza non è ancora il crogiolo di belve feroci e la selva di trappole che sarebbe diventata di lì a poco. “Avevo una grande voglia di fare esperienza all’estero, di mettermi alla prova in un settore che, in un certo senso, allora era alla moda. Ho iniziato subito con entusiasmo, lavorando per cinque anni tra gli States, Zurigo e Londra. Anni bellissimi”.
Tuttavia il contatto con zio Gino per tutto quel tempo è rimasto, forte, persistente, proprio come il perlage di uno Ferrari Trentodoc. E l’opportunità di fare l’imprenditore nell’azienda di famiglia, passando ad un settore “meraviglioso” come quello del vino: “meraviglioso perché permette di raccontare un territorio, una tradizione, fare qualcosa che ha un sapore tutto particolare”.
Insomma, siamo a Londra nei primi mesi del 2003. Matteo e Valentina vi abitano già da due anni e mezzo. Così arriva questa famosa telefonata di zio Gino che decide di rompere gli indugi “Devi decidere cosa vuoi fare da grande: vuoi essere imprenditore o manager?”. Non si trattava di un passaggio facile né dal punto di vista logistico né da quello umano. Eppure… “In brevissimo tempo Trento è diventata la nostra base e casa per la mia famiglia. L’anno dopo è nato Riccardo”.
Dalla volatilità dei numeri finanziari, dai tempi infinitesimali degli algoritmi elettronici, dunque, Matteo passa alla lentezza, ad un lavoro cioè che ha come sua prerogativa principale il tempo. Una frenata brusca, “Il vino è lento, giustamente segue il ritmo della stagione, richiede pazienza. Ma lo stesso se vuoi fare le cose bene devi essere veloce, efficiente e dinamico. È un settore lento, ma – diciamo la verità – non ci annoiamo…” sorride.
Il nome completo del nostro intervistato è Matteo Bruno e porta dunque nella carta di identità, come una specie di fregio, il nome del nonno. La ritiene una responsabilità in più? “Porto il suo nome perché lui è morto poco prima che nascessi e il suo ricordo era ancora molto forte e vivo in famiglia. Era anche un segno della nostalgia che mio padre provava per la famiglia, dato che era l’unico lontano”.
Imprenditore, dunque, eccolo il nuovo ruolo di Matteo Lunelli. Quello attuale. Ma che approccio ritiene di avere a questa posizione? Parafrasando certa terminologia finanziaria, si ritiene più simile ad un fondo aggressivo, flessibile o ad uno bilanciato? “Li chiamano fondi value. Io credo nella creazione di valore che si fa costruendo solide basi su progetti di lungo periodo. Un po’ l’approccio del famoso Warren Buffet, quello è l’unico modo di fare l’imprenditore. Un mestiere che richiede velocità decisionale, ma non si gioca sullo scatto, bensì sul lungo periodo. Il successo di Ferrari in oltre un secolo di storia è riposto nel restare fedeli ad una visione e a dei valori. Questo permette ad un marchio di diventare espressione di quei valori”. Si deve sempre innovare, certo. È questo il comandamento del Terzo Millennio. Matteo Lunelli quando entra in azienda pensa ogni volta a come e cosa potrebbero fare meglio, qualitativamente, personalmente e come team.
L’optimum in qualsiasi attività è il bilanciamento tra Realismo ed Idealismo. Quando ci sono spazi di manovra quanto lei propende il secondo e quanto invece preferisce rimanere ancorato al primo?
“Sono un po’ sognatore e romantico. Mi piace pensare in grande, coltivare grandi sogni e condividerli. Avrò tanti difetti, ma uno dei miei pregi è quello di lavorare con passione”. Una passione che si collega direttamente alla curiosità di Matteo, quella stessa curiosità che lo animava negli anni liceali per le strade di Milano, che lo portava ad amare lo studio, l’attualità.
“Il vino è emozione – dice Lunelli. Se questa emozione non la proviamo in primis noi che il vino lo facciamo e che lo dobbiamo comunicare diventa davvero tutto più difficile”.
Bubble si è accucciato al centro del corridoio, incurante delle nostre chiacchiere su economia e lavoro, facezie di umani, certo. Tuttavia proprio la parola bollicina pare ridestarlo un poco, quando chiediamo al suo padrone in cosa le bollicine sono un vino moderno e in quali aspetti invece richiamano la tradizione.
“Sono moderne nel senso che sono in linea con lo stile di vita di oggi. Hanno una serie di elementi quasi magici che permettono loro di essere sinonimo di gioia e di socialità… Noi di Ferrari abbiamo la fortuna di produrre qualcosa che accompagna i momenti più belli nella vita delle persone. Il Trentodoc si adatta alla perfezione ai cibi di oggi che sono più leggeri ed eleganti. E poi piace alle donne…”
Il trend è che – in termini di valori assoluti – il consumo di vino sta calando. Si beve meno, è vero, ma si beve meglio. E all’interno di questo meglio si collocano le bollicine. Anche grazie al momento tutto italiano dell’aperitivo.
Ritiene che la viticoltura trentina abbia raggiunto un buon livello di eccellenza oppure occorrerà spingere ancora di più in direzione della qualità?
“Trentodoc non ha niente da invidiare a nessuno in Italia. In ogni caso bisogna puntare a fare sempre meglio, scordando di puntare solo sulla quantità, sul numero di bottiglie. Siamo un territorio di montagna perciò dobbiamo puntare ad essere sempre di più una nicchia di eccellenza”.
Spesso le aziende in Trentino fanno del loro attaccamento al territorio il proprio limite in termini di chiusura e di eccessivo assistenzialismo pubblico. Qual è il limite tra tutela dell’identità territoriale e la partigianeria?
“Il legame con il territorio è un valore positivo, ma non deve diventare chiusura verso l’esterno. Un’azienda del vino oggi dev’essere da un lato radicata alla propria terra e dall’altro proiettata nel mondo, lo dico sempre anche agli altri produttori: l’Italia è una piccolissima frazione del globo, nemmeno l’1%, per questo bisogna guardare oltre confine.
Devo ammettere che negli ultimi dieci anni l’ente pubblico ha riconosciuto l’importanza del Trentodoc come eccellenza del Trentino e quindi ha dato disponibilità e supporto, non solo finanziario. Buon dialogo e coesione tra le tre anime dei produttori: aziende come Ferrari, grandi realtà cooperative e piccoli produttori. Il vino riceve dal territorio e restituisce al territorio stesso in termini di promozione, anche turistica. E in questo la tradizione può fare la differenza”.
Certo, c’è il vino, ok, ma c’è un mondo tutt’attorno… Ritiene di avere una responsabilità sociale? “Certamente, soprattutto in senso economico e ambientale. Le certificazioni ottenute lo scorso anno lo testimoniano”.
È possibile allora fare agricoltura biologica in montagna? “Sì, è difficile ma è possibile. Forse non arriveremo al 100% di uve certificate biologiche, ma desideriamo condividere con tutti i nostri conferenti l’idea che la sostenibilità ambientale è un valore fondamentale”.
Stiamo pensando tra noi se i circa 500 conferenti di uve (l’80% della produzione) a Cantine Ferrari siano contenti di dover lavorare di più in nome della sostenibilità. Anzi, dal pensiero passiamo alla parola e lo diciamo proprio a Matteo Lunelli, che sorridendo così risponde: “Stanno comprendendo che è tutto importante per la qualità ma anche per loro; molti vivono in prossimità dei vigneti per cui sono i primi a beneficiare di un’agricoltura più sana”.
Ma Lunelli non è solo Cantine Ferrari, non solo bollicine di qualità. Anzitutto ci sono le Tenute Lunelli. La tenuta Margon qui in Trentino, e poi Podernovo in Toscana (dove si produce il Sangiovese), e Castelbuono in Umbria, la tenuta del famoso Carapace di Arnoldo Pomodoro, l’unica opera d’arte al mondo all’interno del quale si lavora e produce (il Sagrantino). Come spiega Matteo Lunelli questa scelta alla luce di una forte identità territoriale trentina e aziendale legata alle bollicine? “Abbiamo iniziato un processo di diversificazione già negli anni 80, iniziando a fare dei vini fermi già in Trentino e poi in centro Italia. Recentemente abbiamo acquisito anche la Bisol, leader italiana del Prosecco e poi chissà in futuro. Crediamo che attorno a Ferrari ci sia la possibilità di creare un gruppo che rappresenti l’eccellenza del bere italiano. E non parlo solo di vino ma anche di acqua, con Surgiva, e di grappa, con la distilleria Segnana”.
Cosa dicono i produttori indigeni? Non vi vedono un po’ come una sorta di invasori? “No, direi che siamo stati ben accolti”.
Qualcuno ha parlato di tradimento del Trentodoc a favore del Prosecco... “Noi vogliamo solo raccontare la diversità del vino italiano. Prosecco e Trentodoc sono due mondi completamente diversi tra loro. Contrariamente a quanto avviene giustamente per i vini fermi, c’è uno strano vizio che porta ad omologare le bollicine”. Già, a pensarci è proprio così: per certa gente tra la bottiglia di spumante dozzinale del pacco natalizio e un Giulio Ferrari non c’è nessuna differenza se non quella del prezzo. Come assimilare la pelle alla finta pelle.
A proposito: la Guida Michelin ha da pochi giorni confermato la doppia stella della Locanda Margon, il ristorante del Gruppo Lunelli, situato sulle colline attorno a Trento, sopra Ravina. “La Locanda è un progetto a cui tengo moltissimo. Ho l’orgoglio di aver scelto Alfio (Alfio Ghezzi, lo chef, n.d.r.), presentatomi da Andrea Berton a Milano. Ho capito subito che sarebbe stato perfetto per il nostro progetto. Lavora con il mio stesso entusiasmo ed ha un grande talento”.
Che il pianeta Terra sia estremamente globalizzato lo si è potuto dedurre in questi ultimi decenni anche dalla curiosa sovrapposizione di grandi marchi aziendali che portano lo stesso nome. Ricordate la querelle tra la Apple di Steve Jobs e l’omonima casa discografica dei Beatles? Beh, in Italia abbiamo un caso che ci riguarda molto da vicino. Quando Giulio Ferrari è tornato dalla Francia con le barbatelle di chardonnay da piantare sul Colle di Tenna di certo non poteva immaginare che uno squattrinato carrozziere modenese avrebbe creato il marchio automobilistico più famoso nel mondo. È così che oggi lo spumante Ferrari se la gioca in termini di notorietà con il brand di Maranello. Certo se proviamo a fare una banale ricerca su Google vediamo subito che non c’è partita, ma… “Sorpassare la notorietà di quella Ferrari è impossibile – ammette Matteo –, ma è bello condividere questo nome romantico con un’azienda che rappresenta un’altra eccellenza del made in Italy. Ricordo una bella frase di Enzo Ferrari. Diceva che la Ferrari è la macchina, il Ferrari è lo spumante”.
Le campane della città ci dicono che mezzogiorno è giunto, così, non volendo approfittare troppo dell’ospitalità dei padroni di casa ci avviamo a chiudere il nostro cordiale colloquio ponendo questa volta l’intervistato nel ruolo di padre di Riccardo e di Vittoria, adolescenti che frequentano la scuola media. Cosa le piace fare di più con i suoi figli? Chiediamo. “Rispondendo d’impulso mi viene da dire: sciare. Per me è una grande passione e lo è diventata anche per loro. Nei weekend ci piace andare a Madonna di Campiglio, il rifugio della nostra famiglia. In generale, a me e a mia moglie piace molto viaggiare con loro”.
Cosa si augura per il loro futuro e cosa, invece, teme? “Mi auguro che nella vita facciano qualcosa in grado di appassionarli e che siano felici trovando la loro vocazione. Mi spaventa, forse, il fatto che siamo in un mondo che sta diventando sempre più complesso, in cui spero riusciremo ad educarli a dovere. Al giorno d’oggi dobbiamo utilizzare strumenti di cui siamo spesso inesperti e affrontare sfide a cui non siamo preparati. Pensiamo ad esempio al mondo dei social media. Spesso mi domando: come possiamo educare loro se nemmeno noi adulti ci sappiamo orientare appieno?!
In un mondo che va così veloce, dove le innovazioni sono sempre più incisive dovremmo essere bravi anche noi genitori ad orientarci. Mi ritengo un padre innamorato dei propri figli, un affetto che spero percepiscano. Forse sono poco presente, per ovvi motivi, ma d’altra parte ho la fortuna di avere una moglie che compensa abbondantemente la mia assenza”.
Infine, il futuro… Nonno Bruno e anche i suoi figli si sono ritirati relativamente presto, poco dopo aver compiuti i sessant’anni. Matteo Lunelli seguirà lo stesso trend? Come si vede nel 2040?
“Conoscendomi, quando arriverà il momento forse avrò un’idea diversa da quell’attuale, non so. Oggi mi sento di dire che è giusto così, perché a un certo punto, in un’azienda, bisogna dare spazio alle nuove generazioni affinché altri possano esprimersi. Un’azienda deve essere sempre in grado di dialogare con i propri consumatori e ingaggiare quelli del futuro: a farlo devono essere persone in grado di comprenderli. Spero anch’io di avere la forza di dare fiducia a dei giovani in futuro”.
Ogni intervista ha i suoi tempi, le sue particolarità. In questa di Casa Lunelli capita che l’intervistato anticipi con precisione le domande, come se avesse mandato a memoria la scaletta che ci siamo preparati. Strano, no?!
Così anche sull’ultima domanda. Matteo non ci dà nemmeno il tempo di porla. Eccotela qui la risposta… “Bruno Lunelli ha avuto il merito di portare all’interno di questa piccola realtà artigianale lo spirito imprenditoriale che ha fatto germogliare il successo futuro dell’azienda, che – non dimentichiamolo – è sempre cresciuta tenendosi fedele ad alcuni principi: tra i quali quella del metodo classico e delle uve esclusivamente trentine; capisaldi che non sono mai cambiati in oltre un secolo di storia. Certo, oggi il vino lo facciamo in modo più moderno, con macchinari all’avanguardia, comunicandolo in tutto il mondo, ma il principio è rimasto lo stesso. Giulio Ferrari sarebbe orgoglioso di quello che stiamo facendo”. Da uno dei milioni di universi paralleli al nostro, sotto le ampie falde di un cappello nero, qualcuno sta annuendo compiaciuto…
Mentre Bubble si riappropria del suo padrone, facendogli feste di ogni tipo, salutiamo e, dopo averla ammirata dall’alto, ci rituffiamo nella pancia della città, con la consapevolezza di aver appena ascoltato una grande storia trentina, anzi italiana. Anzi, la storia di due sentimenti umani che sovente muovono le persone e li spingono a fare grandi cose nella vita lavorativa e famigliare: la passione e la curiosità.
Botta e risposta |
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Il libro che sta leggendo? “Ricordati di dimenticare la paura” di Niccolò Campriani, il campione olimpico di tiro a segno. Il piatto preferito? Il Pollo ruspante “Locanda Margon” di Alfio Ghezzi, che viene cucinato in una speciale casseruola ispirata a un modello trovato su un libro di cucina del Settecento e realizzata dal Sig. Navarini, un artigiano di Ravina. Il film del cuore? “C’era una volta in America” di Sergio Leone. Cantante, compositore o gruppo preferito? Vasco Rossi, anche se le bollicine che preferisco non sono quelle della Coca Cola… La cosa che le fa più paura? Che possa succedere qualcosa ai miei figli e in generale ciò che non possiamo controllare come le malattie. Il sogno notturno ricorrente? Io sogno sempre anche ad occhi aperti! Questi me li ricordo bene mentre quelli notturni sono più sfuggenti… Se non avesse fatto quello che ha fatto, cosa avrebbe voluto fare? Come ho detto, amo sognare. Ad un certo punto avevo pensato di studiare filosofia, poi, giovane studente di economia, aspiravo a diventare governatore della Banca Centrale. E sin da bambino sognavo di essere un campione di sci e di partecipare alla gara di discesa libera a Kitzbühel. Ho come l’impressione che non ci riuscirò… |
Chi è Matteo Lunelli
Matteo Bruno Lunelli è Presidente e Amministratore Delegato delle Cantine Ferrari e Presidente di Surgiva, acqua minerale che spicca per la sua leggerezza ed esclusività, proposta solamente nel circuito dell’alta ristorazione. È inoltre Vice Presidente e Amministratore Delegato di Lunelli S.p.A., la holding del gruppo di famiglia alla quale fanno capo, oltre a Ferrari e Surgiva, la distilleria Segnana, le Tenute Lunelli che producono vini fermi in Trentino, Toscana e Umbria e Bisol, marchio di riferimento nel mondo del Prosecco Superiore di Valdobbiadene. Dopo l’acquisizione dell’azienda da parte del gruppo Lunelli, Matteo è diventato Vice Presidente di Bisol. Quarantatré anni, bocconiano, sposato con due figli, prima di entrare nel gruppo di famiglia, ha fatto un’esperienza internazionale lavorando in un team di consulenza finanziaria per la banca d’affari americana Goldman Sachs, a Zurigo, a New York e a Londra. Convinto sostenitore del Made in Italy, è Vice Presidente con delega per il settore alimentare di Fondazione Altagamma, che riunisce le imprese dell’alta industria culturale e creativa italiana con l’obiettivo di creare sinergie tra i grandi marchi del nostro Paese e accrescere la competitività contribuendo alla crescita economica dell’Italia. Appassionato d’arte, ricopre la carica di Vice Presidente del Mart, museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. Siede inoltre nel consiglio di amministrazione della Coster Tecnologie Speciali, gruppo leader nel packaging con un fatturato di oltre 150 milioni di euro. Attivo in Confindustria, è stato Presidente dei Giovani Industriali del Trentino-Alto Adige dal 2011 al 2013. È stato Presidente di The International Wine & Spirits Competition di Londra (IWSC) per l’anno 2016, carica riservata alle figure influenti del mondo del vino e dei liquori. Ha ricevuto negli anni importanti riconoscimenti tra i quali il premio E&Y Imprenditore dell’Anno 2015 nella categoria Family Business.