Paura della musica?

Talking Heads sono stati sinonimo di “nuovo”. Quando emersero, nella seconda metà degli anni 70, tutta la scena rock stava cambiando enormemente, sulla spinta del punk inglese e in America dei gruppi del Cbgb’s, il celebre locale di New York dove esordirono i vari Blondie, Ramones, Patti Smith ecc., a fianco di vecchi leoni come Lou Reed, che in quell’infimo buco affacciato sulla Bowery era di casa. 

Ma il suono dei Talking Heads era qualcosa di unico. Lontanissimo, per ovvie ragioni, dalle star del rock mainstream, come Led Zeppelin o Pink Floyd, non era nemmeno puro furore elettrico punkeggiante. Gli elementi-chiave delle Teste Parlanti erano il ritmo, la ballabilità, così come una concezione quasi “geometrica” delle composizioni, incarnata dalla ritmica disciplinata del batterista Chris Frantz e della bassista Tina Weymouth. Il timone era ben saldo nelle mani del cantante e chitarrista David Byrne, mente tagliente accoppiata ad una presenza scenica molto efficace. Il disco “definitivo” del gruppo è considerato Remain in Light, ma noi suggeriamo il precedente Fear of Music (Paura della musica) il terzo della band, prodotto da Brian Eno e pubblicato nel 1979. Un album di art-rock che sa di futuro fin dall’apertura, con la ritmata I Zimbra (in cui all’epoca si volle vedere un ingrediente che iniziava ad essere di gran moda, l’Africa), e che contiene funk tirati come Life During Wartime e Cities, ma anche una ballata magnifica, Heaven. Lo scrittore Jonathan Lethem, che ha molto amato l’album, preferisce fra tutte la minacciosa Memories Can’t Wait.

Il segreto di queste canzoni è che, pur se pervase da una generale isteria, non sacrificano la parte melodica, e che le tematiche di angoscia e alienazione tipiche di Byrne, e in generale dell’America dell’epoca, si sposano con una musicalità trascinante, fresca, urbana. Non dimentichiamoci che questi sono anche gli anni della disco music; perfino la fine del mondo doveva essere cantata in maniera da non sfigurare su una pista da ballo. Poi lo fecero tutti, dai Righeira a La Rappresentante di Lista. Ma il piglio “intellettuale” dei Talking Heads era altra cosa.

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Pubblicato da Marco Pontoni

Bolzanino di nascita, trentino d’adozione, cittadino del mondo per vocazione. Liceo classico, laurea in Scienze politiche, giornalista dai primi anni 90. Amori dichiarati: letteratura, viaggi, la vita interiore. Ha pubblicato il romanzo "Music Box" e la raccolta di racconti "Vengo via con te", ha vinto il Frontiere Grenzen ed è stato finalista al premio Calvino. Ma il meglio deve ancora venire.