Il giorno per il servizio buono

Arrivata a casa cominciò a cucinare. Per prima cosa scottò l’arrosto in padella e poi lo mise nella pirofila su un letto di aromi, aggiunse i rametti di rosmarino cogliendoli direttamente dal vaso sul davanzale della finestra con le tende bianche ricamate anni addietro, quando le mani le ubbidivano perfettamente. Quando fu tutto nel forno, si diresse nel salotto e chiese al marito: “Che giorno è?”. “Domenica, cara”. Si diresse in bagno, si pettinò i radi capelli bianchi, si lavò le mani, indossò gli orecchini e sorrise allo specchio. Tornata in cucina chiese ancora al marito: “Che giorno è?”, lui rispose “Domenica, cara”. Dal cassetto del mobile prese una delle tovaglie più belle che aveva, bianca con dei fiorellini azzurri; la stese bene sopra il tavolo lisciandola ripetutamente con la mano. Dalla credenza tiro giù il servizio buono che le era stato regalato da sua madre per le nozze. Al centro del tavolo mise la caraffa dell’acqua e la bottiglia di vino, poi si spostò un passo indietro e contemplò il lavoro fatto: era soddisfatta, sembrava la tavola di un buon ristorante. Lo splendore poteva stonare con il resto della casa, rustico e contadino, ma quel contrasto piacque a Elena, sottolineava l’eccezionalità di un giorno di festa.

“Ci sono tre ingredienti fondamentali per una tavola ben apparecchiata: cuore, grazia e gusto”, disse rivolta al marito. “Hai ragione, cara” rispose lui, “dovresti usare il servizio buono tutti i giorni, in fondo non ne abbiamo ancora molti davanti!”. Allora lei, leggermente accigliata, spiegava che quel servizio era delicato ma, soprattutto, era importante avere qualcosa da desiderare, che non fosse scontato e abituale.

Andò a sedersi accanto al marito, in attesa che le pietanze finissero di cuocere in forno. “Che giorno è?” chiese ancora. Il marito, senza scomporsi, abituato a quella domanda, rispose pazientemente, accarezzandole la mano: “Domenica, cara”.

Al principio succedeva solo ogni tanto: “Che giorno è?”, gridava dalla sua camera. Le serviva saperlo dato che ogni mattina diceva il rosario e, per poter recitare i misteri, le era indispensabile. Straordinariamente il rosario lo ricordava alla perfezione, anche se poi scordava di averlo detto e ricominciava daccapo finché il marito non veniva a distoglierla, con qualche scusa, da quel rito che rischiava di protrarsi all’infinito.

“Che giorno è?”, chiedeva continuamente Elena. Il marito, dopo la diagnosi dei medici e l’evidenza che sua moglie andava incontro ad una perdita di memoria inarrestabile, non senza difficoltà, si era messo il cuore in pace.  

Da qualche tempo, verso l’ora di pranzo, aveva preso l’abitudine di rispondere sempre e comunque: “Domenica, cara”. Forse stufo di veder relegato nella credenza un set di bicchieri di cristallo e piatti abilmente decorati a mano che, nei quarant’anni precedenti, era stato utilizzato si e no una decina di volte. Forse perchè vedeva la moglie illuminarsi e rendersi attiva all’idea di dover imbandire la tavola dei giorni festivi: cucinare e apparecchiare “con cuore, grazia e gusto”. O, più banalmente, per il sorriso che lei gli riservava e quel bacio che andava a stampargli su di una guancia, per l’allegria che tornava ad abitarla.

Era una bugia, d’accordo. Eppure aveva imparato una lezione molto importante negli ultimi anni: sua moglie anche se non ricordava le cose appena fatte, ricordava di essere stata bene mentre le faceva. Dimenticava i giorni, i nomi, i fatti ma non dimenticava le sensazioni, sensazioni di cui lui si sentiva parte. Elena viveva nel presente, cosa che molti di noi provano a fare tutti i giorni, senza riuscirci. E il sorriso di lei, abitava ancora lì.

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Pubblicato da Denise Fasanelli

Mamma insonne e sognatrice ad occhi aperti. Amo la carta, la fotografia e gli animali. Ho sempre bisogno di caffè. Non ho bisogno di un parrucchiere, d’altronde una cosa bella non è mai perfetta. Ho lavorato nel campo editoriale, della comunicazione e mi sono occupata di marketing per alcune aziende. Ho pubblicato un libro insieme all’ex ispettore Pippo Giordano: “La mia voce contro la mafia”(Coppola ed. 2013). Per lo stesso editore, ho partecipato, in memoria dei giudici Falcone e Borsellino, al libro “Vent’anni” (2012) con un racconto a due mani insieme all’ex giudice Carlo Palermo.