Alpini, eroi della pandemia

Pizzolato, Damiano Chiesa, Cesare Battisti, Viote, Duca d’Aosta, Perini. Ecco qui un elenco (forse incompleto) delle caserme che nel Novecento si sono trovate nel territorio di Trento. Centinaia di ettari dove nei decenni si sono asserragliati migliaia di ragazzi vestiti in grigio-verde. Solo alcune di queste caserme mantengono la loro funzione: in gran parte sono state spianate per fare posto ad altro. Fa impressione pensare come nemmeno vent’anni fa, fino al 2005, aree gigantesche del territorio fossero popolate di folle provenienti da tutta Italia, spesso controvoglia, lì convenute per imparare a fare il soldato. La legge lo voleva. Altro che «no vax» in piazza a gridare «libertà», a fare la guerra a una puntura. All’epoca lo Stato ti mandava la cartolina, e tu dovevi andare: dovevi prepararti (almeno in teoria) a prendere le armi e a fare la guerra quella vera. Tutti mugugnavano, alcuni protestavano, pochi «obiettavano». I renitenti che non avevano le spalle coperte passavano grossi guai. Ed ecco che, quando oggi la politica discute se reintrodurre una qualche forma di servizio di leva, viene in mente la guerra che abbiamo appena combattuto e vinto, a prezzo di dolorosissime perdite. No, non la guerra in Ucraina, anche quella importante.

Mi riferisco alla guerra che ci ha costretti in casa come sotto bombardamento e che ha portato gli eroi in camice bianco a vivere e morire nelle trincee degli ospedali.

Ma in questo momento più degli operatori sanitari, mai abbastanza celebrati, mi viene in mente un’altra figura un po’ dimenticata. Mi vengono in mente gli Alpini che nei mesi più duri del confinamento del 2020 andavano casa per casa a distribuire pacchi alimentari e medicine: loro, gli Alpini, spesso anziani e dunque a rischio, calzavano il cappello ed affrontavano il pericolo di pianerottolo in pianerottolo. Guerra senza munizioni ad un nemico invisibile. Personalmente non dimentico quel coraggio. E se quel coraggio deriva dal fatto d’aver passato qualche mese in un corpo organizzato che è stato in grado di insegnare non tanto come si monta un fucile, ma come si dimostra l’amore per la propria gente, allora io (che il militare non l’ho fatto, la mia data di nascita posteriore al 1985 me lo ha evitato), allora io dico: si reintroduca un percorso che insegni come tutti dobbiamo prenderci cura di tutti, anche assumendoci qualche rischio, affrontando l’ignoto. Un percorso con un solo motto, forse non marziale, ma vitale: «Nessun uomo è un’isola».

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Pubblicato da Fabio Peterlongo

Nato nel 1987, dal 2012 è giornalista pubblicista. Nel 2013 si laurea in Filosofia all'Università di Trento con una tesi sull'ecologismo sociale americano. Oltre alla scrittura giornalistica, la sua grande passione è la scrittura narrativa. È conduttore radiofonico e dal 2014 fa parte della squadra di Radio Dolomiti. Cronista per il quotidiano Trentino dal 2016, collabora con Trentinomese dal 2017 Nutre particolare interesse verso il giornalismo politico e i temi della sostenibilità ambientale. Appassionato lettore di saggi storici sul Risorgimento e delle opere di Italo Calvino.