Umanità di serie “A” e di serie “B”: 5 miliardari contro 600 poveracci

Se volete capirci qualcosa di noi esseri umani, che riguardi il passato o il presente, che si tratti di qui oppure di luoghi lontani, niente è più utile che analizzare la morte. Sì, è vero che tutti gli esseri viventi muoiono, ma solo la nostra specie ha fatto della morte una vera e propria “arte”, un perno su cui ha impostato gerarchie sociali, idee del mondo, aspettative, punizioni, premi e opere di ogni genere.

Tutti sappiamo per esempio che gli ormai stracitati antichi egizi (dell’élite) passavano la vita a prepararsi per la morte: da come è trattata la morte si capisce quasi tutto di un popolo, si svelano segreti, rapporti sociali, luci e ombre dell’umanità che attraversa e ha attraversato il pianeta.

Questo vale anche per noi contemporanei.

Cosa ci direbbe, per esempio, la morte se la interrogassimo su di noi? Intanto, ci direbbe che è un po’ offesa, perché ha perso di importanza. La nostra cultura contemporanea e globale non prepara alla sua venuta, anzi: la camuffa, la nasconde, se ne fa sorprendere, un po’ come quando si nasconde la polvere sotto il tappeto. La polvere c’è; l’importante è che non si veda. In secondo luogo, la morte ci direbbe che è evidente che viviamo in una civiltà tra le più disuguali e polarizzate della storia. Pensate al sottomarino Titan. Pensatelo come se foste degli antropologi storici. Lo considerereste un pezzo di tecnologia avanzatissima, che ha lo scopo di far divertire una piccolissima parte di umanità facoltosa, cioè ricca, che vuole passare un po’ di tempo a curiosare un relitto sepolto nell’oceano a 4000 metri di profondità.

Vi annotereste sul taccuino che la civiltà che state studiando destinava ingenti cifre a ciò che chiamava “divertimento” e che aveva grande inventiva per questo: era disposta a compiere le opere più bizzarre, pur di “divertirsi” un po’. Poteva succedere anche che questa ricerca del divertimento finisse male, come è successo a Titan. In questi casi, potremmo osservare che ingenti somme, nonché fiumi di parole, erano stati spesi non solo nel tentativo di recuperare i cercatori di divertimento, ma anche, successivamente, per trattare la loro dipartita con la dovuta solennità. Al contempo osservereste, da buoni antropologi, che la disuguaglianza di questa civiltà emergeva in modo violento paragonando le morti dei ricchissimi a quelle dei poveri. Negli stessi giorni dell’incidente del Titan, infatti, era affondata una barca nell’Egeo. Trasportava una categoria sociale diffusa, definita col nome di “migranti”: persone che si spostavano lungo una rotta che dalle periferie più povere del mondo andava verso quelle ricche.

Purtroppo però, per spostarsi serviva un piccolo oggetto di carta chiamato “passaporto” in cui stava scritta la “nazionalità” della persona. Molte nazionalità erano escluse dalle rotte più ambite, che permettevano cioè di entrare nelle aree ricche. Agli esclusi non rimaneva che provare la fortuna in mare, spesso morendo. 

La morte ci racconterebbe quindi di come esistano un’umanità di serie A e una di serie B. Quella di serie A, una classe transnazionale di ricchissimi, era amata anche da chi non faceva parte di quella categoria. Grazie ai mezzi di comunicazione, infatti, era più facile identificarsi con chi prendeva un sottomarino per divertirsi, che non con chi scappava dalla fame. La civiltà globale provava più facilmente empatia con i cinque miliardari in gita sott’acqua che con gli oltre 600 poveracci alla ricerca di un po’ di fortuna. 

Così ci direbbe la morte, con il suo solito sorriso beffardo, allontanandosi sulle macerie di una “civiltà” sparita tra le pagine della Storia.

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Pubblicato da Sara Hejazi

Cittadina italiana e iraniana, ha conseguito un dottorato di ricerca in Antropologia culturale ed Epistemologia della Complessità. Accademica, scrittrice, giornalista, collabora con molte università e fondazioni italiane oltre a scrivere su diverse testate. Ha pubblicato i saggi L’Iran s-velato. Antropologia dell’intreccio tra identità e velo (2008), L’altro islamico. Leggere l’Islam in Occidente (2009) e La fine del sesso? Relazioni e legami nell’era digitale (2017). Il suo ultimo libro è “Il senso della Specie” (Il Margine 2021).