Un lungo bastone ricurvo, con una corda di budello tesa tra le due estremità e, sopra, una zucca secca, col collo tagliato a far da cassa di risonanza. Questo è il torotela, antico strumento veneto a corda, di grande semplicità. Era suonato con un archetto ed è, probabilmente, contemporaneo di strumenti vagamente simili, ma ben più colti e complessi come la viola, che nacque nel X secolo. Accompagnava i giullari che percorrevano le campagne e le valli suonando comicamente, cantando sguaiatamente e ballando in cambio di qualcosa da mangiare. In ogni piazza che toccavano, talvolta, perfino piccole località valligiane delle Alpi, scuotevano la gente, invitandola a partecipare a momenti effimeri di gioia e felicità.
Per l’aristocrazia invece la danza non era solo un’interruzione temporale eccezionale come per il popolo. Era parte integrante della vita di corte, una vita mondana che si aggiungeva a quella scandita dalle feste religiose. Pensiamo ai saloni del Castello del Buonconsiglio a Trento, di Castel Stenico, di Castel Roncolo a Bolzano, Castel Firmiano o, allo splendido Castel Rodeneck presso Bressanone, per farci un’idea della funzionalità architettonica adibita al divertimento, alla danza codificata.
A partire dal Mille il ballo è questione soprattutto popolare e solo l’avvento dei trovatori di origine provenzale ha introdotto anche nella nostra Regione, dopo il 1100, la danza nelle corti e nei castelli. Altri rimasugli di medioevo popolare sono le danze istituite dai Balarì e Màscher nella bassa val del Chiese (soprattutto Bagolino) durante il Carnevale. Un rito di passaggio dove sono ammessi ancor oggi soltanto i maschi. In val di Fassa è arrivato fino a noi il ricordo dei balli contadini e dei pastori ladini: i Bufòn, i Lachè e Marascons. Balli mascherati che univano la memoria storica di antiche leggende dolomitiche con la religiosità popolare. E questo accadeva, con nomi diversi, nella vicina val Badia e Gardena. Tradizioni trasmesse oralmente si mescolavano alla spontaneità del momento, coinvolgendo l’intera comunità in una baraonda che finiva soltanto all’albeggiare e ripetutamente condannati dalla Chiesa.
I balli sfrenati erano il frutto di fratture temporali nella routine popolare. È il momento dell’irruzione dell’irrazionale e della genuinità spontanea legata strettamente alla natura e ai suoi ritmi. Perfino nei masi più isolati dell’Alto Adige, gli abitanti lasciavano, alla fine del raccolto estivo, le loro abitazioni per ritrovarsi davanti al sagrato e festeggiare/ringraziare Dio e i Santi. Occasioni di festa che perdura fino ad oggi quando le mandrie, finita la stagione dell’alpeggio, calano a valle. Famose le feste, ancor oggi vive, della val d’Ultimo, di Luson, della val Sarentino, la desmontegada del Primiero e quella delle caore a Cavalese.
Oggi si balla trattenendo gli istinti, nel medioevo erano danze sfrenate, estatiche. Testimonianze in tal senso ci raccontano di eventi stravaganti ai nostri occhi come i balli nei cimiteri per i funerali. Balli senza nessuna coreografia, senza musica, ma con un completo abbandono del corpo ai propri ritmi, alla ricerca di un perdere sé stessi in segno di dolore o in un tentativo di derivazione pagana di entrare in sintonia con il morto.
La danza come espressione pura, assimilata dalla chiesa alla possessione diabolica e dalla prima medicina alla malattia, ma che era invece espressione di qualcosa di ancestrale e primitivo, non ancora cancellato. Questi balli erano di gruppo, spontanei, potevano andare avanti anche delle ore, ed erano ben diversi da quelli dei giullari che si esibivano nelle feste e nei mercati. Cosa facessero questi giullari lo possiamo dedurre dalle poche immagini che sono arrivate fino a noi, come quella inserita nel portale bronzeo romanico di San Zeno a Verona, che mostra una Salomè che fa il ponte. Ora, essendo improbabile che questa immagine avesse una base storica, deduciamo che il modello peccaminoso fosse dato dalla danza dei giullari che doveva essere sostanzialmente acrobatica, a metà tra la ginnastica artistica e quella ritmica.
La danza come intrattenimento collettivo la si ritrova lungo la storia della nostra regione nella forma della ronda, del girotondo. è qualcosa di diverso dal ballo sfrenato delle danze macabre intrecciate all’immagine della morte, ma è probabilmente legato ad esse, una sorta di evoluzione benigna, che ne conserva però alcune caratteristiche, come ad esempio l’abbandono, questa volta non alle forze interiori, ma al muoversi collettivo del gruppo. Questo tipo di danze, le carole della tradizione, avevano varianti colte e popolari, che sono arrivate quasi fino a noi pur con infinite varianti come la pivotte. Subito dopo il Mille troviamo anche le prime testimonianze del ballo di coppia, legato al diffonersi della cultura dei trovatori.
Queste danze calano in Italia dal nord e dall’ovest e questo spiega il loro solido insediarsi nell’arco alpino. I trovatori suonavano e cantavano così nasceva la danza di coppia, tipicamente cortese in origine. Per rendersi conto di quali coreografie fossero alla base di queste danze di coppia bisogna però aver presenti balli più popolari come le manfrine. Era un ballo che simulava il corteggiamento, con l’uomo che girava intorno alla donna e viceversa. Un ballo pantomina che doveva assomigliare molto a quello dei trovatori.
L’evoluzione del ballo
Duecento e Trecento. La danza in tondo, semplice anche dal punto di vista musicale, caratterizza i maggi italiani e le feste francesi. è accompagnata da strumenti ad arco, a fiato e percussioni.
Quattrocento. Il ballo codificato come bassa danza introduce a corte il concetto di ballo conosciuto oggi, vale a dire il ballo come divertimento. è una danza lenta ed è detta la regina delle misure.
Rinascimento 1. Da questo momento le danze cominciano a prendere forma legate alle culture nazionali e si avvicinano al mondo della musica colta.
Rinascimento 2. Nascono così in Italia la Gagliarda, la Pavana, la Bergamasca, la Tarantella; in Francia la Bourrèe, la Gavotta, la Corrente; in Germania e Austria l’Allemanda; in Inghilterra la Gica.
Seicento. Nasce il Ballo di corte con la partecipazione di ballerini professionisti.
Settecento. Si impone il ballo come moda diffusa in ogni strato sociale. Nei ricevimenti reali si diffonde con grande successo il minuetto. A Parigi si aprono seicento sale: particolarmente affollate soprattutto durante il periodo di carnevale.
Ottocento. Il Valzer e la Polka rendono sempre più importante il ballo dal punto di vista sociale. Comincia ad essere presente anche nel teatro leggero. Nasce così il Cancan.
Primo Novecento. Cominciano ad affermarsi nel mondo i balli derivanti da culture non europee. Arrivano così il Tango, il Tip Tap, il Fox Trot, il Charleston, la Rumba, il Boogie-woogie.
Metà-fine Novecento. Samba e Rock’n’roll, Liscio e Shake, Disco-music, molto più figlie del business che della tradizione, ampliano la quantità dei tipi di ballo, ormai affermato a tutti i livelli.
Da ballo sociale si trasforma in ballo solitario, da luogo della comunità – la piazza, il sagrato, il cimitero una volta – a luoghi-contenitori dove si parla poco e le parole scelte sono tagliate, settarie, sincopate. Si afferma una specie di rarefazione del linguaggio che perde in complessità, favorendo invece un sistema di segni facilmente riconoscibili. Si tratta però di un codice vero e proprio che non si accontenta delle parole e si contamina con le movenze del ballo, i gesti del corpo o la scelta dell’abito.
E poi ci sono i balli tradizionali eseguiti da unioni di ballo presenti nelle grandi manifestazioni popolari valligiane, nelle feste religiose e profane o nelle sagre. Balli rappresentati soprattutto per fini turistici e per intrattenere il pubblico seppur ci sono ancora gruppi ristretti che organizzano serate di ballo riservate solo alla gente del posto o ai membri del gruppo.
Da non dimenticare lo Schuhplattler tipico dell’Alto Adige, un ballo riservato esclusivamente agli uomini: il nome proviene dal rumore che i ballerini fanno schiaffeggiando le mani sulle suole delle scarpe e sulle cosce, accompagnate da fischi, grida e jodel. Ultimamente sono apparsi anche gruppi di Schuhplattlerinnen femminili.