L’invenzione di una donna

Quotata, quotatissima, Emma Stone “rischia” la seconda statuetta agli Oscar come Miglior attrice protagonista – dopo il ruolo di Mia in “La La Land” di Damien Chazelle nel 2017 – grazie alla sua straordinaria interpretazione in “Povere creature!” di Yorgos Lanthimos. È lei il centro di tutto; lei ciò di cui tanto si parla dal debutto del lungometraggio alla scorsa Mostra del cinema di Venezia e che ne ha fatto una delle pellicole più attese del 2024; lei quella che non vi deluderà. 

Favolosa e potente soprattutto nella prima parte del film, nella sua versione più inselvatichita, Stone è qui Bella Baxter, una versione femminile del mostro di Frankenstein, nata dagli esperimenti dello scienziato pazzo Godwin (per lei solo God, in traduzione Dio), che unisce il corpo della giovane Victoria, morta suicida nel Tamigi, al cervello del feto che portava in grembo al momento della sua dipartita. Ne nasce una creatura dalle fattezze umane, delicate, bellissime, eppure rozza, sgraziata, selvaggia, ancora infantile, ancora da educare. Ben presto Bella imparerà la coordinazione nel camminare e nel mangiare, l’uso della parola, la compostezza, ma, ancor più, imparerà che esiste dell’altro al di fuori di nuovo-Eden costruito dal suo God e fatto di una grande casa e del suo circondario. Fuori, c’è una Londra vittoriana piena di vita, c’è un vastissimo mondo da solcare in lungo e in largo. Ed è lì, in quel vasto mondo, che scoprirà le gioie del sesso e ne farà il fulcro della sua esistenza; lì che sarà prima addomesticata dagli uomini (metaforica e incisiva la scena del ballo con Duncan Wedderburn, che va da solitario e sfrenato a un passo a due) e poi se ne libererà nel peggiore dei modi. Perché Bella Baxter da sola può istruirsi e vivere appieno le esperienze che la vita le offre, può leggere, ascoltare e imparare molte cose, ma non può fare suoi i filtri e i limiti dell’educazione sociale, così come il senso di colpa. Bella Baxter sarà, insomma, sempre libera, con tutte le distorsioni del caso. Ironico e grottesco, femminista agli estremi e senza via di scampo, e quasi una versione macabra e morbosa della “Barbie” di Greta Gerwig, “Povere creature!” traspone sullo schermo il romanzo omonimo di Alasdair Gray del 1992, e lo fa attraverso uno degli occhi più sapienti del cinema contemporaneo. Passando dal bianco e nero al colore (fino ai suoi estremi più cartooneschi), Lanthimos distorce l’immagine e le ambientazioni attraverso l’uso di grandangoli e computer grafica, ottenendo un risultato che assorbe (e eleva) tanto la sua stessa lezione de “La favorita” (2018), quanto quella di alcune pietre miliari del cinema muto: innegabili l’influenza dell’espressionismo di Friedrich W. Murnau e i rimandi ai capolavori di Fritz Lang. 

“Metropolis”, il 2026 è dietro l’angolo

Nella scena della creazione di Bella Baxter da parte dello scienziato Godwin, c’è un chiaro e netto richiamo a uno dei più grandi maestri del cinema muto, Fritz Lang. Ad essere citato è il momento – parallelo – in cui lo scienziato C. A. Rotwang trasferisce Maria all’interno della sua creatura, dando vita a una Maria-robot. Il film in questione è “Metropolis”, classico della settima arte, richiamato più o meno direttamente in decine e decine di pellicole successive, e datato 1927. La storia raccontata, in un futuro distopico ormai a noi prossimo, il 2026, quella di una rivolta di classe, guidata appunto dall’androide dalle sembianze femminili, di un gruppo di lavoratori relegati a un mondo sotterraneo di maltrattamenti, sugli industriali che ormai da tempo governano incontrastati il pianeta.  

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Pubblicato da Katia Dell'Eva

Laureata in Arti dello spettacolo prima, e in Giornalismo poi, nel quotidiano si destreggia tra cronaca e comunicazione, sognando d’indossare un Fedora col cartellino “Press” come nelle vecchie pellicole. Ogni volta in cui è possibile, fugge a fantasticare, piangere e ridere nel buio di una sala cinematografica. Spassionati amori: Marcello Mastroianni, la new wave romena e i blockbuster anni ‘80.