Ove non ci son Dei regnano i fantasmi

Friedrich Georg Jünger  (1898-1977) con il fratello Ernst (1895-1998)

140 pagine di introduzione, 112 di testo. Solitamente di fronte a questa proporzione il gesto spontaneo è quello di chiudere il libro e lasciarlo abbandonato in un angolo. Oppure di saltare a piè pari l’introduzione per immergersi nel testo “vero”. Invece questa volta ho apprezzato la presentazione che Mario Bosincu, ricercatore in Letteratura tedesca, fa del breve ma incisivo testo del saggista, poeta e narratore tedesco Friedrich Georg Jünger: “Apollo, Pan, Dioniso”, editato da Le Lettere (Firenze, 2023). Il libro di Jünger esce in Germania nel 1943, nel cuore del Terzo Reich. Ed è una non velata critica al sistema dittatoriale nato, secondo lui, nel momento in cui gli dèi si sono ritirati lasciando lo spazio ai titani, figli di quella modernità illuminista che ha nell’homo faber, in Prometeo, la sua origine archetipa e che il nazismo ha saputo portare agli estremi nella sua fanatica, “tecnolatrica” e distruttiva idea dominante. I confini dell’arte, ovvero della libertà e dello spirito, si restringono quanto più la scienza allarga i suoi. «La nostra vita è un affare, quella vissuta allora era un’esistenza». Su questo binario corrono i due testi, approfondendo, circostanziando e ipotizzando percorsi e vie che hanno condotto l’uomo a ritenersi superiore a un altro uomo, un popolo a sterminare sistematicamente, razionalmente e burocraticamente milioni di persone, in una nazione in cui l’arte era succube di un titanismo neoclassico freddo e mortuario. Lì in Germania successe quanto è avvenuto, secondo Jünger, perché dove regna il cervello l’anima ha abdicato. Mentre Platone e Goethe accettano umilmente il mistero, Aristotele e Kant vogliono svelarlo e distruggerlo. Mai come in quel momento storico si materializza il pensiero junghiano che gli dèi sono diventati malattia, ripreso in seguito da Hillman. «Dove non ci sono dèi regnano i fantasmi» aveva predetto Novalis. Quando la natura è disincantata agli dèi, alle potenze che la animavano subentrano gli spettri e il mondo appare come una realtà priva di vita e concepibile solo nei termini delle aride categorie della ragione scientifica. Ecco perché Novalis scrive anche che «il periodo vero e proprio della nascita dei fantasmi europei è quello del passaggio dalla mitologia greca al Cristianesimo». Idea molto vicina a quella di Schiller che nella poesia Gli dèi della Grecia (1788) celebra la visione ellenica del cosmo quale dimensione popolata di numi, grazie a cui la forza vitale fluiva nel creato e viceversa. Poi soltanto lacerazione, separazione e distruzione, silenziosamente ubbidienti a un morto rintocco d’orologio. 

L’arte, quella con la A maiuscola, fugge nei territori della cultura, lasciandosi dietro quelli della civilizzazione. E ciò che farà Friedrich Georg Jünger: diventa emigrante, si ritira nelle profondità del suo Io, nell’immenso mondo e nel vasto universo dello spirito, dell’istinto, del piacere, dell’armonia musicale, e mette nero su bianco quest’inno lirico, questa dissidenza aristocratica in cui la dittatura è liquidata come un regime demagogico. Un Io lirico ormai estraneo a ogni ideologia dell’integrazione lo porterà a isolarsi alla ricerca di oasi eterotopiche, ancora intatte, di terra selvaggia dove prevalga il tempo della vita e non il tempus mortuum. Ed ecco il canto ad Apollo, Pan e Dioniso, gli dèi dell’anima, dello spirito, del vaticinio, dell’istinto selvaggio, della libertà al di là, al di sopra e al di sotto di ogni senso di civiltà. (E non i titani Odino, Thor, Loki…). In un certo senso, su di un altro livello ma non molto distante, è ciò che negli stessi anni scriveva Cristina Campo: «ci sono due mondi, io vengo dall’altro». L’oasi come libero spazio della propria soggettività, della propria anima, fonte dell’emigrazione interna. Là, dove la terra è calpestata dai piedi e dagli zoccoli dei tre dèi, il culto del lavoro è totalmente estraneo. Quel culto che da Prometeo in poi, seguendo autostrade e non sentieri, porterà sulla terra morte e distruzione.

All’artista il compito di recuperare il sacro selvaggio, il sacro in rivolta, la sperimentazione pura di un’alterità tracciata da Nietzsche, Hölderlin, Jung, Walter Otto, Hillman e tanti altri.

Francesco Trentini, Pan, Castello del Buonconsiglio
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Pubblicato da Fiorenzo Degasperi

Fiorenzo Degasperi vive e lavora a Borgo Sacco, sulle rive del fiume Adige. Fin da piccolo è stato catturato dalla “curiosità” e dal demone della lettura, che l’hanno spinto a viaggiare per valli, villaggi e continenti alla ricerca di luoghi che abbiano per lui un senso: bastano un graffito, un volto, una scultura o un tempio per catapultarlo in paesi dietro casa oppure in deserti, foreste e architetture esotiche. I suoi cammini attraversano l’arte, il paesaggio mitologico e la geografia sacra con un unico obiettivo: raccontare ciò che vede e sente tentando di ricucire lo strappo tra uomo e natura, tra terra e cielo, immergendosi nel folklore, nei miti e nelle leggende. fiorenzo.degasperi4@gmail.com