Umiltà è saper urlare e il fragore del silenzio

Umiltà non equivale assolutamente a sottomissione e assoggettamento, neppure a farsi da parte per lasciar perdere. Umiltà è saper urlare e opporsi con il fragore del silenzio, adottare la lontananza, la chiarità e la purezza nelle azioni quotidiane. È nel metodo che risalta l’essere umili, credere e perseguire una meta così come facevano i monaci siri dei secoli IV-VI: non separarsi dalla società del proprio tempo, non essere reclusi volontari ma attraversare il mondo con estrema leggerezza come ci insegnano anche i monaci zen. Non sgomitare, non inchinarsi, non pregare i potenti, ma essere fermi lavorando per la qualità di ciò che si fa ogni istante, senza altre mire che non il proprio piede che fa un passo dopo l’altro. Essere umili vuole dire avere la consapevolezza di essere stranieri su una terra che non è nostra, essere stranieri in qualsiasi ambiente in cui siamo, scivolare tra le maglie del potere per rimarcare la propria libertà ed esistenza. 

Come recita Matteo (8,20), «le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo il loro nido; ma il Figlio dell’uomo non ha dove reclinare il capo». Mendicanti dello spirito, vagabondi dell’anima. Erano umili anche i folli in Cristo russi che ci hanno insegnato che l’umiltà e la follia ci proiettano ai confini dell’umano, alla soglia del capovolgimento delle false virtù in valori umanamente accettabili. È per quello che il silenzio dell’umile può essere dirompente e lacerante, e il suo atteggiamento irremovibile è sintomo di coerenza in un mondo nel quale tale parola è diventata sconosciuta. Umiltà, la “nube della non conoscenza” la definiscono i monaci zen, non è nient’altro che la piena coscienza del proprio io oltre ogni condizionamento e legame, oltre soprattutto ogni conformismo (politico, sociale, culturale). 

Camminare a zig zag invece che diritti, farsi carico del pensiero laterale (non produttivo economicamente ma culturalmente di valore immenso), osservare un oggetto non in maniera prospettica ma da altri punti di vista. E tutto questo praticando l’ironia e l’autoironia interiore. Perché l’importante è scivolare, mai avere una meta ma mille mete, mai un obiettivo ma centomila fini, in modo da essere sempre in movimento, dentro e fuori le cose, senza attribuire a queste un’importanza che non hanno.

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Pubblicato da Fiorenzo Degasperi

Fiorenzo Degasperi vive e lavora a Borgo Sacco, sulle rive del fiume Adige. Fin da piccolo è stato catturato dalla “curiosità” e dal demone della lettura, che l’hanno spinto a viaggiare per valli, villaggi e continenti alla ricerca di luoghi che abbiano per lui un senso: bastano un graffito, un volto, una scultura o un tempio per catapultarlo in paesi dietro casa oppure in deserti, foreste e architetture esotiche. I suoi cammini attraversano l’arte, il paesaggio mitologico e la geografia sacra con un unico obiettivo: raccontare ciò che vede e sente tentando di ricucire lo strappo tra uomo e natura, tra terra e cielo, immergendosi nel folklore, nei miti e nelle leggende. fiorenzo.degasperi4@gmail.com