Un bucolico viaggio nel tempo

Parlando o scrivendo di montagna, non è raro commettere un errore: ovvero considerare il contesto solo in termini “estremi”. Scialpinismo, impianti, frotte di turisti, traffico, ecc. Insomma, globalizzazione allo stato puro. Bastano invece esperienze insolite, come quella capitata da poco al sottoscritto, per scoprire che la montagna “sa essere” anche qualcosa di molto più autentico ed imprevisto. Vi è che ho trascorso due settimane in un borgo di mezza montagna, uno di quelle minilocalità formate da quattro o cinque masi. Comunità sostanzialmente isolate dai contesti urbani, anche piccoli. Assistere ogni mattina al risveglio e all’inizio delle attività umane mi ha fatto sentire un po’ come in una sorta di Truman Show. Nel senso che gli abitanti del borgo parevano compiere quotidianamente gli stessi gesti, le medesime impellenze. C’erano gli operai che davano inizio alle loro attività di falegnameria, il contadino che armato di pala sistemava pali, il trattorista che scorrazzava tra i filari, ma anche la nonna che ad una certa precisa ora accompagnava la (presumo) nipotina all’appuntamento con lo scuolabus.

Ma lo spettacolo che più mi ha riempito il cuore è stato, nel pomeriggio sera, osservare il gioco solitario dei bambini. Un vero e proprio bucolico viaggio nel tempo, un salto nel passato di almeno quarant’anni, quando ci si sollazzava saltellando tra i ciuffi d’erba, nascondendosi dietro ai tronchi, improvvisando dialoghi immaginari con fate, gnomi e folletti. Da dietro alla mia finestra di villeggiante, non visto, pensavo a certe tribù del Borneo o dell’Amazzonia che non conoscono la parola “tempo”, ancora immuni a certe malattie della modernità come la fretta e l’utilitarismo. “Ecco”, mi dicevo, “questa è la cultura della montagna, incontaminata, scevra da sovrincisioni consumistiche”. Questa la gente che non si lascia determinare da ciò che il mondo vuole imporre loro e che risponde ancora – credo inconsapevolmente – a determinati richiami ancestrali legati ai cicli della Natura e all’alternanza delle stagioni. 

(Ah, dimenticavo… Per tutto il tempo, non ho visto nemmeno l’ombra di uno smartphone…)

Condividi l'articolo su:
Avatar photo

Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.