Giuseppe Vallesini, pittore a Odessa

La piazza del teatro a Odessa in una litografia del 1854

Odessa è un sogno che, in piccola parte, ci appartiene. Per questo motivo, l’incubo che i suoi abitanti stanno vivendo da un anno ci dovrebbe spingere a una riflessione supplementare sul valore del cosmopolitismo, in un’Europa nuovamente minacciata da nazionalismi e settarismi della peggiore specie.

La memorialistica ottocentesca ci assicura che l’apporto di mercanti, artigiani, caffettieri e marinai immigrati dall’Italia fu di fondamentale importanza per lo sviluppo della città, tanto da generare una toponomastica in lingua italiana. Il porto era sorto nel 1794 per iniziativa di un nobile spagnolo al servizio dell’esercito russo, José de Ribas, che aveva convinto la zarina Caterina II di Russia ad appoggiare il suo progetto. De Ribas era nato e cresciuto a Napoli, dove aveva prestato servizio nella marina borbonica: questa esperienza gli aveva permesso di comprendere le potenzialità del sito di Odessa come sbocco commerciale sul Mar Nero per i grani e i pellami ucraini. Oggi è considerato l’eroe fondatore della città e il suo ritratto – che fu eseguito nel 1796 da Giovanni Battista Lampi – si conserva nel locale Museo d’arte, insieme a tanti capolavori minacciati dalla guerra.

A riflettere sull’eredità culturale globale rappresentata da Odessa ci invita anche la vicenda, finora trascurata, di Giuseppe Vallesini: un pittore trentino menzionato nelle fonti russe e ucraine ma finora mai messo a fuoco, tanto che in qualche libro è detto “veneziano”. Solo di recente è stato precisato che era nato a Pieve di Primiero il 14 luglio 1748, smentendo una precedente ipotesi che lo voleva nato a Imer nel 1710. Dall’atto di battesimo risulta che il padre si chiamasse Carlo Gubert detto Valassin: Giuseppe scelse più tardi di adottare il soprannome di famiglia come cognome, opportunamente italianizzato, giudicandolo forse più eufonico per un artista.

L’architetto bergamasco Giacomo Quarenghi, in cerca di validi collaboratori da impiegare nei propri cantieri in Russia, lo invitò a Pietroburgo per mettersi al servizio dell’imperatrice. La lettera d’ingaggio, spedita il 31 ottobre 1783, è indirizzata “Al Sig. Valesini Pittore a Venezia”: segno che l’artista dimorava a quell’epoca in laguna, dove aveva probabilmente appreso il mestiere. Questa ipotesi è confermata dalle raccomandazioni in suo favore pervenute poco prima al Quarenghi da parte di due gentiluomini veneziani.

Vallesini lavorò per i successivi otto anni a Pietroburgo e a Mosca sotto la regia di Quarenghi, come si ricava dal fitto epistolario dell’architetto, dove il nome del pittore trentino ricorre a più riprese, talvolta associato a quello dell’ornatista fiemmese Antonio Della Giacoma, che fu un suo collaboratore subordinato. Nel 1791 Vallesini fu congedato dal servizio di corte e da allora lavorò presumibilmente in autonomia. Nel 1808 si trovava a Mosca e godeva di grande reputazione, come sappiamo da un censimento effettuato quell’anno in Trentino dal governo bavarese.

Le ultime notizie rintracciabili sul suo conto risalgono al 1811, quando l’artista lavorava alle scenografie del teatro di Odessa. Ad attestarlo sono tre lettere indirizzate dal pittore al comitato cittadino, che sono state pubblicate nel 2004 dallo studioso ucraino Kostjantyn Bacak. In una di esse, datata 17 luglio, Vallesini dichiara di aver dipinto per il teatro un “giardino”, una “sala”, una “chamera da citadino” e “una camera russicha deta isbà” (ossia l’interno di una isba, la tipica abitazione rurale russa, interamente costruita in legno), opere per le quali presenta il conto. Il 31 agosto successivo comunica che “fu messa in scena l’ultima decoracione” raffigurante un “bosco” e chiede che l’intera somma pattuita gli venga liquidata, non avendo ricevuto acconti. Dopo tale data si perdono le tracce di questa personalità interamente da riscoprire, che contribuì con la propria creatività ad animare la vita culturale di Odessa.

All’epoca la città era in piena espansione demografica e urbanistica. Il teatro era stato inaugurato nel 1809 dal duca di Richelieu, un esule francese che lo zar Alessandro I aveva nominato governatore. L’edificio, progettato dall’architetto svizzero Francesco Frapolli, fu successivamente distrutto da un incendio.

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Pubblicato da Roberto Pancheri

È nato a Cles nel 1972 e vive felicemente a Trento. Si è laureato in Lettere a Padova, dove si è specializzato in storia dell’arte. Dopo il dottorato di ricerca, che ha dedicato al pittore Giovanni Battista Lampi, ha lavorato per alcuni anni da “libero battitore” e curatore indipendente, collaborando con numerose istituzioni museali e riviste scientifiche. Si è cimentato anche con il romanzo storico e con il racconto breve. È infine approdato, per concorso, alla Soprintendenza per i beni culturali di Trento, dove si occupa di tutela e valorizzazione del patrimonio artistico. La carta stampata e la divulgazione sono forme di comunicazione alle quali non intende rinunciare, mentre è cocciutamente refrattario all’uso dei social media.