Adottare un bambino ucraino: una casa sicura non basta

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Adottare un bambino ucraino. È questo il gesto di solidarietà che molte famiglie italiane stanno cercando di compiere. Le immagini che arrivano dall’Ucraina straziano il cuore. E i numeri fanno impallidire. “Il Riformista” segnala come già prima della guerra, nei seicento orfanotrofi ucraini trovassero posto 100mila bambini. E chissà quanti sono i nuovi orfani causati dalla guerra. Ma considerare un bambino orfano di guerra come un numero fa accapponare la pelle. Ci saranno (e già ci sono) bambini i cui genitori sono morti combattendo o sotto le bombe. Ci sono e ci saranno bambini venduti. Perché gli orfanotrofi lager tratteggiati da Dickens sono una indicibile realtà, specialmente laddove la guerra apre il vaso di Pandora dell’orrore. Perciò, adottare un bambino ucraino può essere la soluzione più giusta, più concreta, più immediata per dare “cristianamente” una risposta alla richiesta d’aiuto.  Ma occorre riflettere, “laicamente”. Accogliere un orfano di guerra non è una passeggiata. Molti genitori di buona volontà sono convinti che per accogliere un orfano bastino la tenerezza e la sicurezza di una casa su cui non piovono bombe. Certo, è meglio vivere sotto un tetto solido in mezzo a degli estranei, che sotto le bombe. Ma non ci sono solo questi fattori immediati. Ci sono una serie di problematiche di difficilissima risoluzione: per adottare un bambino – e per farlo bene, correttamente – ci vogliono un sacco di carte e di tempo. Non ci si deve dimenticare che l’Ucraina è un paese in guerra, dove il lavoro dei tribunali è sospeso. Può sembrare inutile burocrazia, ma ricordiamoci che il rispetto delle regole serve soprattutto a proteggere il bambino. Ad evitare che un domani sia perseguitato dal suo passato, magari in forma di genitori che si ripresentano riaprendo la ferita. Una guerra è una pazzia che mette in moto un vortice di pazzie. Per adottare un orfano di guerra, occorre agire con la testa, con la ragione: occorre evitare che un gesto di incredibile generosità si trasformi in un gesto affrettato che presenterà un conto salato. Non tanto per chi adotta, ma per chi si è trovato a chiedere di essere salvato e si troverà, letteralmente, solo con un tetto sopra la testa. Ecco, non basta un tetto per assicurare a un bambino la salvezza.

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Pubblicato da Fabio Peterlongo

Nato nel 1987, dal 2012 è giornalista pubblicista. Nel 2013 si laurea in Filosofia all'Università di Trento con una tesi sull'ecologismo sociale americano. Oltre alla scrittura giornalistica, la sua grande passione è la scrittura narrativa. È conduttore radiofonico e dal 2014 fa parte della squadra di Radio Dolomiti. Cronista per il quotidiano Trentino dal 2016, collabora con Trentinomese dal 2017 Nutre particolare interesse verso il giornalismo politico e i temi della sostenibilità ambientale. Appassionato lettore di saggi storici sul Risorgimento e delle opere di Italo Calvino.