“Cancel culture”: spiegare sempre, vietare poco, censurare mai

Negli anni ‘80 le etichette “parental advisory” apposte sulle copertine di alcuni LP, musicassette e cd dall’Associazione delle case discografiche statunitensi cominciarono ad avvisare l’ascoltatore sul contenuto “esplicito” dei testi delle canzoni (in genere per i riferimenti sessuali). Sempre negli anni ‘80, e sempre negli Usa, cominciava a diffondersi il ben più ampio movimento della “correttezza politica” che, all’interno delle università, si batteva per il riconoscimento di temi e l’adozione di linguaggi rispettosi delle differenze di genere, culturali, religiose e quant’altro. 

Oggi siamo approdati alla cosiddetta cancel culture, la “cultura della cancellazione”. Per alcuni, una forma particolarmente ottusa di censura. Per altri, una cosa sacrosanta, anche se a volte amplificata dai media per fini esclusivamente polemici. 

Fra le conseguenze della cancel culture, abbiamo visto di recente alcune misure adottate dalla Disney nei confronti di tre vecchi film, Gli Aristogatti, Peter Pan e Dumbo, per “proteggere” i piccoli spettatori da scene che potrebbero risultare diseducative. Non è vera censura, come quella che mandò al rogo Ultimo tango a Parigi, per intenderci, sono disclaimer, avvisi all’inizio del film. Sempre di recente, si è assistito anche a manifestazioni più drastiche, come l’abbattimento di statue che celebravano personaggi i quali, in Inghilterra, negli USA o altrove, hanno fatto fortuna con la tratta degli schiavi (salvo poi a diventare famosi come capitani d’industria o persino filantropi).

Si tratta, evidentemente, di questioni molto distanti fra loro, anche se unite da un filo rosso. Da un lato, prodotti artistico/mediatici i cui personaggi (spesso minori) vengono estremizzati: il cinese con il codino o i dentoni, il nero che parla sostituendo la b alla p, l’italiano tutto pizza-spaghetti-mandolino e così via. Nella gran parte dei casi, quando certi film sono usciti, gli spettatori non si accorgevano nemmeno dei contenuti potenzialmente offensivi o razzisti (anzi, non c’è dubbio che chi ha una certa età, quando ha visto Dumbo da bambino/a, abbia percepito semmai un messaggio di tolleranza e contro il bullismo). Oggi però la società è cambiata, questi prodotti non sono più rivolti solo a un pubblico bianco, occidentale, etero e così via: non è poi così strano che tanti più afroamericani, cinesi o quant’altro (anche bianchi etero, perché no) facciano sentire la propria voce.

Dall’altra parte, abbiamo eventi storici che la cultura ufficiale ha “abbellito”, sottaciuto o mistificato. Pensiamo al colonialismo, o, per restare a casa nostra, al “falso storico” dell’uccisione rituale del Simonino a Trento da parte degli ebrei, o al Monumento alla Vittoria di Bolzano, con la sua scritta e le sue decorazioni offensive nei confronti della popolazione sudtirolese. Molti non ci hanno mai fatto caso o non si sono mai informati. Altri però sì. E comunque, di nuovo, la sensibilità cambia nel tempo, si allarga, si restringe, si rigenera.

Ma allora, come comportarsi? In generale, una regola potrebbe essere: spiegare sempre, vietare poco, censurare mai, soprattutto le opere artistiche. Così, forse, sarebbe possibile far crescere nel tempo uno spirito autenticamente critico e non-conformista.

Certo, se dovessimo rivedere o cancellare ogni narrazione del passato in base alla sensibilità odierna, non si salverebbe neanche la Bibbia. Ma sbaglia chi pensa che queste siano questioni irrisorie. Se, come abbiamo detto, la sensibilità cambia, lo stesso vale per il linguaggio, i simboli. Semmai, c’è da interrogarsi sulla reale efficacia del “politicamente corretto”. Se viene letto dalle persone solo come fastidioso perbenismo (era quello che pensavo davanti alle etichette “parental advisory” sui cd) la battaglia è persa. Ciò che conta veramente, è aiutare le persone a guardare con occhi nuovi alle cose che ha sempre avuto sotto il naso. E ad interrogarsi su ciò che rappresentano.

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Pubblicato da Marco Pontoni

Bolzanino di nascita, trentino d’adozione, cittadino del mondo per vocazione. Liceo classico, laurea in Scienze politiche, giornalista dai primi anni 90. Amori dichiarati: letteratura, viaggi, la vita interiore. Ha pubblicato il romanzo "Music Box" e la raccolta di racconti "Vengo via con te", ha vinto il Frontiere Grenzen ed è stato finalista al premio Calvino. Ma il meglio deve ancora venire.