Ecco perché saremmo il primo obiettivo di un’escalation atomica

In linea d’aria, casa mia si trova esattamente a metà strada tra Aviano, in provincia di Pordenone, e l’abitato di Ghedi nel bresciano. Il centro di una circonferenza di circa 250 chilometri di diametro. Un territorio, quello del nord est italiano, tra i più produttivi e ricchi d’Europa, che però pur senza saperlo si porta sul groppone un fardello di dimensioni inimmaginabili. Costituisce di fatto uno tra i più imponenti arsenali atomici americani nel mondo
La base aerea di Aviano, in concessione agli USA dal 1954, custodirebbe una cinquantina di ordigni con potenziale distruttivo 30 volte più grande di quelle di cui finora abbiamo potuto sperimentare gli effetti: per intenderci Hiroshima e Nagasaki. A Ghedi, un paesino di 18mila abitanti, la locale base Nato ospita il 6º stormo dell’aeronautica militare ma non solo: si parla anche qui di una ventina di bombe.
Per il Governo di Washington e per quello italiano, così come per l’Unione Europea, questo arsenale ufficialmente non esiste. La presenza delle testate nucleari – così come scrivo in “Ciò che non si può dire” (Edizioni del Faro, 2022) – non è mai stata ammessa o dichiarata. Ma si tratta del classico segreto di Pulcinella.


Secondo la Federation of American Scientist (un’organizzazione fondata nel 1945 da scienziati del “Progetto Manhattan“), l’Italia è “il primo avamposto statunitense in Europa per numero di bombe nucleari schierate, e il quinto al mondo per numero di installazioni militari”.


Quello che sta avvenendo in Ucraina in queste ore è drammatico
. Al di là di ogni possibile motivazione di ordine strategico o politico, l’aggressione russa è da condannare senza “se” e senza “ma”. Dall’interno della nostra circonferenza protetta assistiamo alle cronache, ci commuoviamo rispetto alla crescente emergenza legata ai profughi, l’angoscia ci prende pensando al destino di quel popolo, tuttavia continuiamo ad essere convinti di “esserne fuori”. La guerra non ci riguarda, se non per la pietosa e dovuta accoglienza dei profughi stessi e la consueta raccolta di aiuti.

Ed invece, nel caso in cui la follia del conflitto dovesse raggiungere il suo punto di non ritorno e Putin e i suoi generali arrivassero a premere il fatidico pulsante rosso, esiste una possibilità: quella di ritrovarci improvvisamente proprio al centro del conflitto, nel mirino del cannone. È un discorso teorico, sia chiaro, non voglio nemmeno immaginarlo che possa accadere per davvero, ma rifletterci ci può aiutare a capire in che condizione di servilismo militare oramai estremo ci troviamo, in particolare nel triangolo Lombardia, Trentino, Friuli.


La domanda possibile è solo una: in quale direzione sparerebbe il suo primo missile atomico la Russia? Kiev? No, è già distrutta e deserta. Una grande città europea? Parigi? Londra? Roma? Di grande effetto scenografico, certo, e pure in termini di perdite umane, ma avrebbe un’efficacia militare pressoché nulla. Viene molto più facile pensare che la prima preoccupazione di Putin e dei suoi – a quel punto folli – collaboratori sarebbe neutralizzare l’arsenale del nemico. E dunque proprio le 70 bombe atomiche custodite tra Aviano e Ghedi.
Perché il vero pericolo di ospitare basi militari è proprio questo. Non il traffico dei velivoli e gli eventuali incidenti (cfr. tragedia del Cermis del 1998), non pericoli legati alla radioattività: bensì l’essere inchiodati di fatto al ruolo di primo potenziale obiettivo strategico a livello mondiale.


Le nostre vite così sicure, i nostri discorsi impregnati di benaltrismo, le nostre teorie del complotto legate a virus, lobbies dei banchieri e quant’altro (quanto sembrano ridicole oggi le polemiche sul green pass?!), le nostre belle case di famiglie occidentali benestanti stanno all’interno di quella circonferenza di 250 km di diametro. La guerra in Ucraina e una possibile crisi globale che coinvolga Nato e Usa potrebbe riguardarci da vicino. Molto di più di quanto avremmo mai potuto sospettare. Riflettiamoci attentamente.
E riparliamone quando la guerra in Ucraina – speriamo il prima possibile – sarà terminata.

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Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.