Gabriele Biancardi: voce, parola e cuore

Musica, teatro, romanzi, racconto sportivo come speaker della Trentino Volley, social-network, e l’amore di una vita, Radio Dolomiti. Raccontare Gabriele Biancardi significa cercare l’anello di congiunzione tra tutti questi mondi. Mondi che si toccano, tracimano l’uno nell’altro perché ricadono dentro quel calderone che è “comunicazione”. Ma per inquadrare Gabriele questo termine asettico non soddisfa: il fil rouge che tiene insieme i suoi interessi è la passione civile. Lo abbiamo incontrato presso la sede di Radio Dolomiti a pochi giorni dall’uscita del suo nuovo romanzo, “Emiliano”, edito da Curcu Genovese. 

Dopo i suoi primi lavori “realisti” e da romanzo storico (“Il mio nome è Aida”, “Il respiro dei ricordi”, senza dimenticare “Vite nel Kaos”, raccolta di racconti scritti a quattro mani con Loreta Failoni), nel 2021 viene alla luce “Emiliano”, un romanzo davvero “onirico” che ha preso spunto da un sogno dell’autore. «Sognavo di sognare, una specie di sogno “al quadrato” – ha spiegato Biancardi – Nel sogno mi trovavo in un locale di Siena dove in scena c’era Totò, che mi ha chiamato sul palco e mi ha detto: “Improvvisiamo”. «Nel sogno – ha spiegato Biancardi – mi trovo in un locale di Siena, dove c’è Totò intento a esibirsi. Mi chiama sul palco e mi dice: “Improvvisiamo!”. Un attimo dopo mi trovo a teatro in attesa di mettere in scena il mio spettacolo e dico: “Stasera improvvisiamo tutto, me l’ha detto Totò!”». Scatta così l’idea per il romanzo: Emiliano è un aspirante attore folgorato quando vede Totò recitare “‘A livella” in televisione; da lì parte la sua avventura, ma viene presto catturato dal lato oscuro del palcoscenico, tra eccessi e dipendenze, e presto una tragedia gli cambierà la vita. 

In teatro con la sua compagnia teatrale, al termine di una delle rappresentazioni di “Diversi da chi?”

“Emiliano” mostra una svolta nelle tematiche di Biancardi, che approda ad una prosa “lunare” e surreale: «Ci sono tre tipi di scrittori, quelli che scrivono per se stessi, quelli che scrivono per vendere e quindi sfornano “Cinquanta sfumature di grigio” – scherza Biancardi – E quelli come me che scrivono perché hanno una bella storia da raccontare. Mi sono reso conto che mentre scrivevo i personaggi si imponevano da sé, fuori dal mio controllo». Le esperienze diverse nel reame della “comunicazione” influenzano l’impostazione del Biancardi scrittore: «La mia formazione radiofonica mi ha portato ad una certa essenzialità nello stile, cerco di mettere sempre un po’ di radiofonia nella mia scrittura, che vuole andare dritta al punto». 

Biancardi non si limita a intrattenere il lettore, ma vuole veicolare un messaggio. Trasversale alle sue diverse produzioni, c’è una tematica centrale, ovvero la decostruzione dell’idea di “diversità”: «Io sono stato per lunga parte della vita un grande obeso – racconta Biancardi – e ho vissuto sulla mia pelle cosa significhi essere un “diverso”, giudicato, deriso. Allora ho scelto le mie battaglie. Con lo spettacolo teatrale “Diversi da chi” cerco di mostrare come la categoria del diverso sia vuota, senza sostanza». Esporsi in prima persona può essere appagante e frustrante a seconda dei contesti: «Credo sia necessario cercare un confronto con chi mi ascolta in radio, vede il mio spettacolo a teatro, o mi legge – riflette Biancardi – A teatro è appagante perché incontri un pubblico che è lì per aprirsi ed ascoltare, senti di essere arrivato a destinazione. Altrove, magari sui social, monta la frustrazione». 

Il profilo Facebook di Gabriele è seguito da diverse migliaia di persone e attraverso quel canale non teme di dire la sua, scatenando centinaia di commenti, talvolta favorevoli, altre volte meno: «Sui social mi metto in mezzo, certe volte dovrei frenarmi ma non ce la faccio – spiega Biancardi – Quando leggo certi commenti crudeli magari postati sul sito dell’Ansa, scelgo quello che mi ferisce di più, quello che dà più il senso della cattiveria. Allora intervengo prendendone “per il sedere” l’autore». Gabriele non teme il confronto, usando spesso l’arma dell’ironia, ma si rende conto che dibattere sui social è come sbattere contro un muro: «Ribattendo ai commenti crudeli che si leggono online, non si risolve niente, lo fai più per te che per l’altra persona. Ma c’è una speranza e io la ritrovo nei giovani. Seguendo la Trentino Volley, mi rendo conto che esistono tantissimi giovani straordinari, con la mente resa aperta dai tanti viaggi, dalla costante esposizione all’altro. La soluzione è tutta lì». 

La capacità di aprirsi non è una caratteristica dei trentini, almeno nel luogo comune, ma Gabriele sottolinea come le cose stiano cambiando: «In Trentino c’è un grande fermento culturale, una voglia di fare e di provare anche da parte delle amministrazioni». Gabriele rileva che gli antichi “mali” del Trentino, la sua chiusura e una certa provincialità, siano in via di superamento: «È vero, noi trentini siamo “orsi” ed il Trentino non compare spesso sulla stampa nazionale, ma sinceramente non mi sento tagliato fuori. Anzi mi sembra che siano gli altri a sentirsi tagliati fuori dalle nostre bellezze e dalle nostre eccellenze, lo confermano i fiumi di complimenti che i giocatori di volley mi rivolgono quando vedono il Trentino. Mi inorgoglisce, sono innamorato di questa terra».

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Pubblicato da Fabio Peterlongo

Nato nel 1987, dal 2012 è giornalista pubblicista. Nel 2013 si laurea in Filosofia all'Università di Trento con una tesi sull'ecologismo sociale americano. Oltre alla scrittura giornalistica, la sua grande passione è la scrittura narrativa. È conduttore radiofonico e dal 2014 fa parte della squadra di Radio Dolomiti. Cronista per il quotidiano Trentino dal 2016, collabora con Trentinomese dal 2017 Nutre particolare interesse verso il giornalismo politico e i temi della sostenibilità ambientale. Appassionato lettore di saggi storici sul Risorgimento e delle opere di Italo Calvino.