Ho provato a guardare verso l’alto e ho scoperto…

Un altro aspetto che con il tempo abbiamo trascurato – in quanto troppo concentrati, per lavoro o per diletto, in una vita regolata dai pixel – è quello di guardarci intorno. Buttare lo sguardo lontano è qualcosa che facciamo sempre più raramente. Me ne parlava tempo fa il mio ottico di fiducia: queste miopie sempre più frequenti e consistenti sono la diretta conseguenza della nostra disabitudine a guardare lontano. Le massime distanze del nostro campo ottico sono misurabili nei centimetri che ci separano dagli schermi dei diversi dispositivi. E se l’uomo primitivo lanciava lo sguardo verso i monti per orientarsi, noi – per compiere la stessa operazione – apriamo Google Maps. 

Così, in queste rigide e terse giornate d’inverno ho provato ad allenare la vista oltre che il fisico, intraprendendo lunghe camminate, specialmente in collina. Ho provato a guardare verso l’alto e ho scoperto mondi e dettagli che non conoscevo o che ricordavo appena. Montagne, tante montagne ma anche case. Contadine, signorili, con giardini e con balconi. Case allegre, con biciclette buttate nel cortile e la bandiera della pace a sventolare. Case serie, di chi lavora duro, con abbigliamento tecnico a stendere in maniera allineata. Case di tutti i colori: gialle, rosa, verdi e azzurrine. Bianche e grigie. Mi viene in mente il mitico film di Nanni Moretti, “Caro diario”, in cui il protagonista (lo stesso attore e regista), nel corso del primo episodio, gira a bordo di una Vespa attraverso i quartieri di Roma. E osserva le case, dagli eleganti palazzi delle zone più prestigiose ai palazzoni delle periferie. È bel passatempo anche immaginare chi c’è dentro, che cosa fa, quali mobili ci sono. Se sono case ordinate o disordinate, pulite o da spolverare. Se ci sono bambini o anziani soli. Se si ride o si piange. 

Qualche giorno fa ho ripreso un mio classico tragitto cittadino, il tour delle ciclabili. Da quella lungo il torrente Fersina si passa a quella lungo l’Adige, fino ad arrivare al Muse. Qui le case si vedono in lontananza: le prime ad apparire sono quelle che si intravedono lungo l’arteria di san Severino. In prossimità di un ponte, il mio sguardo è stato catturato da una casa all’aperto. Metto a fuoco e vedo un bidone a mo’ di tavolo, con qualche piatto e qualche bicchiere. Intorno, tutto fa pensare a un alloggio di fortuna, seppur organizzato. Ma che stanno facendo? Una persona è seduta e indossa una specie di mantello. Un altro gli gira intorno, mentre la musica esce da una cassa bluetooth. Ecco, gli sta tagliando i capelli! Un altro amico o parente li guarda divertito. Sono i senza fissa dimora, quelli di cui tutti parlano. La loro casa ha il colore grigio del ponte, le finestre molto illuminate, un grande giardino. Forse troppo grande, perché non finisce più e anzi continua sotto altri ponti, con altre vite. Insomma, camminare fa bene. Ma serve anche guardare quello che c’è intorno a noi. 

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Pubblicato da Tiziana Tomasini

Nata a Trento ma con radici che sanno di Carso e di mare. Una laurea in materie letterarie e la professione di insegnante alla scuola secondaria di primo grado. Oltre ai grandi della letteratura, cerca di trasmettere agli studenti il piacere della lettura. Giornalista pubblicista con la passione della scrittura, adora fare interviste, parlare delle sue esperienze e raccontare tutto quello che c’è intorno. Tre figli più che adolescenti le rendono la vita a volte impossibile, a volte estremamente divertente, senza mezze misure. Dipendente dalla sensazione euforica rilasciata dalle endorfine, ha la mania dello sport, con marcata predilezione per nuoto, corsa e palestra. Vorrebbe fare di più, ma le manca il tempo.