La globalizzazione dell’indignazione

I social sono in fermento: è bastato l’annuncio del nuovo vaccino, per bocca del CdA di una nota casa farmaceutica, ad aprire un vaso di pandora digitale da cui sono usciti fiumi di commenti con cui, tra il (semi)serio e il faceto, gli internauti sentenziano ex cathedra il loro giudizio in materia di economia, virologia e medicina, fino a sconfinare, i più arditi, nel campo del diritto costituzionale e della geopolitica. Il fil rouge? La presunta congiura tra Bill Gates e banchieri di Wall Street per inserire microchip sottopelle a mezzo mondo. Insomma, il bestiario 2.0 sembra avere una fauna che manco l’Amazzonia. Ma in questo ricco ecosistema di epiteti “pixelati”, invettive contro il potente di turno e fantasiose teorie del complotto si aggirano cose ben peggiori.

Lo scorso 7 dicembre, solennità di Sant’Ambrogio, il sindaco del capoluogo meneghino ha insignito del prestigioso “Ambrogino D’Oro” niente di meno che Chiara Ferragni e Federico Leonardo Lucia, in arte “Ferragnez”.

Il riconoscimento che negli scorsi anni ciondolava sui colli di vittime di mafia, attivisti per i diritti umani e ieratici economisti in gessato, ora dà bella mostra di sé nel salotto della famosa coppia di “influencer”. Le motivazioni di tale onorificenza? Lo zelo con cui la coppia più in vista di Instagram avrebbe richiamato i propri followers al rispetto delle normative igienico-sanitarie in contrasto alla diffusione del virus. Appello che, almeno secondo i vertici di Palazzo Chigi, avrebbe contribuito in maniera notevole alla sensibilizzazione delle giovani fasce della società.

“Ah, questi giovani d’oggi… sempre pronti a seguire in massa l’esempio di rapper e modelle! Un tempo non sarebbe accaduto…” Ne siamo proprio sicuri? Checché ne dicano i boomers, l’attrazione per le celebrità e la spasmodica ricerca di modelli da imitare non sono prerogative esclusive del nostro tempo. Facciamo un salto indietro di una sessantina d’anni, quando sushi e snapchat erano sostituiti da unti fast-foods e rumorosi jukebox e il nonno di whatsapp erano i gettoni di rame: siamo nel 1956 e l’America è terrorizzata dalla diffusione della poliomielite.

Nonostante il vaccino fosse in commercio già da un lustro la stragrande maggioranza degli Yankees era ancora restia alla somministrazione. Visto che la mietitura della “polio” non accennava a smettere, l’amministrazione Eisenhower pensò bene di chiamare Elvis Presley, per proporgli una vaccinazione in prima serata, sotto i riflettori del seguitissimo Ed Sullivan Show. La campagna ebbe successo: le vaccinazioni subirono un’impennata che fece raggiungere, nel giro di pochi anni, l’immunità di gregge.

È enorme slancio che le star della rete sembrano dare a fenomeni e movimenti. Ed è così che quello che anni fa sarebbe stato liquidato come un banale sciopero studentesco, snobbato perfino dai bollettini parrocchiali, percorre l’Equatore a velocità siderali per finire sulle copertine del prestigioso New York Times, nella persona di Greta Thunberg.

Per non dimenticare come le proteste dei giovani di Hong Kong, sulle ali di hashtag e meme, hanno fatto irruzione nelle sedute dell’Europarlamento. Una sorta di globalizzazione dell’indignazione pronta a sdoganare, urbi et orbi, qualsiasi genere di pensiero, lotta e ideale. Non è però detto che questo sia per forza positivo. Se non si ha una buona dose di pensiero critico si rischia di essere travolti dalla lunatica corrente dell’opinione pubblica.

Ed è così che ad ogni tornante della storia fa capolino un factotum che si propone come Salvatore della Patria. Questo accade perché, in mancanza di solidi anticorpi critici e di una chiara bussola valoriale, tendiamo a svendere la nostra onestà intellettuale (e quindi la nostra Libertà) a chicchessia, “ombra od homo certo”. Insomma, sembra che il vaccino più urgente sia quello anti-influen…cer.

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Pubblicato da Francesco Zadra

Neodiplomato dell'Istituto “Marie Curie” di Pergine Valsugana (Tn)