Esperienze in corsia. Le giornate di una scrutatrice.

Succede che una professoressa possa cambiare anche solo temporaneamente – per una manciata di ore –  il suo lavoro, per sperimentare altre modalità. L’idea era balenata quasi per caso qualche anno scolastico fa, a scuola, compilando una modulistica di rito carica di documenti anagrafici degli alunni, in previsione di un viaggio all’estero. 

“Sembra di essere in un seggio elettorale!” si commentava con le colleghe tra  una carta d’identità e l’altra. E proprio tra quelle “sudate carte” era sorta l’ipotesi – citando anche le indimenticabili pagine di Italo Calvino, ne “La giornata d’uno scrutatore” – di provare a sedere dietro ad un tavolo alle prossime elezioni, tra schede e urne. “Perché non tentare?” Dopo mesi di immobilismo, il desiderio si era avverato. L’iscrizione, la chiamata e l’assegnazione ad una sede elettorale si erano catapultate inaspettatamente  sull’inizio dell’anno scolastico come un fulmine su quel cielo già piuttosto torbido della ripresa post Covid. Ma il desiderio di provare era rimasto. Vengo assegnata ad un seggio speciale, definito anche “volante”: non siamo noi ad attendere gli elettori, ma siamo noi che andiamo da loro in ospedale per consentire l’espletamento del diritto di voto. Abbiamo la lista dei reparti in cui recarci con tabelloni, registri, matite e timbri. Con litri di gel e mascherine in abbondanza, naturalmente.  Nel mio ruolo di presidente volante, sono fortunata: sono infatti affiancata da due ragazzi universitari svegli e in gamba. E pure simpatici. Ma veniamo al dunque. L’aspetto tecnico burocratico è complesso, ma con un abile gioco organizzativo di team – dopo qualche inevitabile esitazione – ce la caviamo egregiamente.

E che dire dell’aspetto fisico? In tre giorni abbiamo percorso l’equivalente di una mezza maratona, il contapassi del cellulare parla chiaro! Sì perché sali in amministrativi e direzione per prendere i nominativi dei votanti (che si aggiornano ogni due ore circa), localizza il reparto, trova la stanza, fai votare, esci e scendi. Ascensore blu, ascensore metallo, linea gialla e linea verde. In sezione a deporre le schede e poi si riparte. Capita di tornare più volte alla stessa porta, suoniamo e ci presentiamo all’infermiere. Pensiamo che sia un altro posto, invece ci eravamo già stati. “Assomiglia a quello di prima!” “Ma no, è più buio il corridoio!” E invece era l’A anziché il B. Due risate e saliamo. 

E poi il lato umano, il più impattante. In cardiologia ci spaventiamo più noi quando facciamo quasi sobbalzare una paziente nel vederci sopraggiungere in tre nella stanza. Tutto bene, la rassicuriamo e riusciamo anche a farla sorridere, complice il savoir-faire del giovane segretario. E che dire dell’anziano in rianimazione, che è così felice di vederci “…perché siete belli e giovani, senza camici!” Un bel complimento, specie per il più maturo del gruppo, ovvero la sottoscritta. 

In un altro reparto installiamo un seggio volante nella saletta tv; una signora ci raggiunge aggrappata ad un girello. Sulle prime sembra scorbutica, poi ci confida che ha paura perché tra pochi giorni sarà operata.  Tra una registrazione, il solito timbro e qualche sincera parola di conforto la tiriamo un po’ su di morale. E non riusciamo a smettere di ridere quando – presentandole il tabellone con le liste – esprime in modo piuttosto schietto la sua generale idea sulla politica. “Ma quanti sono? Sono tutti …, solo capaci di …” e molto altro ancora. Riprende il suo mezzo borbottando lungo il corridoio, rincorsa dai nostri in bocca al lupo per l’intervento. E sappiamo che sotto sotto le hanno fatto piacere. E ancora. C’è chi racconta pezzi di vita – in dialetto – dietro le sbarre di un letto: “Sì, mi son de… “  E ci fermiamo un attimo in più, a sentire quella storia. 

Dopo tre giorni siamo ormai una vera squadra: ci muoviamo sulla planimetria dell’ospedale come veterani del sanitario. Schiacciamo bottoni, apriamo porte, facciamo slalom tra carrelli di vassoi ed indumenti, carichi di fascicoli e materiale elettorale. Fino alle ultime firme ed ai saluti. Forse ci rivedremo, forse no. Forse ripeteremo l’esperienza, forse no. Una cosa è certa: in questi giorni abbiamo imparato a lamentarci un po’ meno del nostro quotidiano, pensando a quanto abbiamo vissuto. Usciamo all’aria aperta e toh, c’è ancora il sole. 

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Pubblicato da Tiziana Tomasini

Nata a Trento ma con radici che sanno di Carso e di mare. Una laurea in materie letterarie e la professione di insegnante alla scuola secondaria di primo grado. Oltre ai grandi della letteratura, cerca di trasmettere agli studenti il piacere della lettura. Giornalista pubblicista con la passione della scrittura, adora fare interviste, parlare delle sue esperienze e raccontare tutto quello che c’è intorno. Tre figli più che adolescenti le rendono la vita a volte impossibile, a volte estremamente divertente, senza mezze misure. Dipendente dalla sensazione euforica rilasciata dalle endorfine, ha la mania dello sport, con marcata predilezione per nuoto, corsa e palestra. Vorrebbe fare di più, ma le manca il tempo.