Il Nativo Analogico
Era il 1973 quando io, Homo Analogicus, ho cominciato ad occuparmi di fotografia. Claudia, Digital Native, non aveva ancora la minima intenzione di venire al mondo. Nel 1973 la fotografia era analogica, senza alcuna incertezza e senza neppure il sentore che, di lì a qualche anno, sarebbe stata travolta da uno tsunami che l’avrebbe per sempre sconvolta e trasformata. Fare fotografia voleva dire, da 150 anni, bagnarsi le mani negli acidi, respirare miasmi mefitici, stare al buio per ore e ore. E, a conclusione del percorso significava ottenere un foglio di carta su cui, che fosse in bianco e nero o a colori, si cristallizzava per sempre (quasi…) la memoria della scena che avevi scelto di fotografare. Tutti gli strumenti della fotografia, dalle fotocamere agli ingranditori, dagli album alle stampe, erano oggetti fisici, tangibili, con un loro peso in grammi, con una loro superficie liscia o ruvida, di metallo, di legno, di plastica, di vetro. Tutto e solamente corpi fisici!
I primordi del digitale
Poi, nel 1975, mentre io, ignaro di tutto, mi avvelenavo col bisolfito di sodio, i primi minacciosi segnali: Steven Sasson realizza un prototipo di apparecchio digitale, capace di una risoluzione di 0,01 megapixel! La prima immagine, in bianco e nero, fu registrata in 23 secondi su una audiocassetta. E fu l’inizio della fine! Nel 1981 compare sugli scaffali la prima creatura aliena: la fotocamera Sony Mavica (a fianco) (Magnetic Video Camera) che registra le immagini su un floppy disk da 1,4 Mega, con una risoluzione di 570 x 490 pixel. Nel 1991 esce la prima reflex digitale, la Kodak DCS-100, dotata di un sensore CCD da 1,1 Megapixel. Nel 1999 Nikon lancia la prima reflex digitale progettata come tale e, un anno dopo… mi arrendo e acquisto, all’astronomico prezzo di due milioni di lire, la PENTAX EI 2000, allegra macchinetta, perfetta per prendere appunti visivi…
(continua)