Cos’è il merito nelle società non meritocratiche

Si è tornati recentemente a parlare di meritocrazia, nel quadro di una spericolata rinominazione dei vari ministeri effettuata dal nuovo Governo. L’accostamento proposto è fra merito e istruzione, essendo queste le competenze che fanno capo al ministro Giuseppe Valditara, giurista milanese, già collaboratore della riforma dell’università voluta nel 2010 da Gelmini e autore di libri dai titoli un po’ inquietanti come “Sovranismo, una speranza per la democrazia” (ma non millanterò di averlo letto, quindi altro non posso dire). 

Meritocrazia viene considerata da qualcuno una parolaccia. Rimanderebbe ad una società di fatto gerarchica, che non premia i talenti ma favorisce chi ha origini più fortunate, e quindi viene messo nella condizione di coltivarli, i suoi talenti, fin dalla culla. 

Questa distorsione del concetto di merito risponde forse ad un’analisi della società così com’è, un’analisi, potremmo dire, sociologica, ma di fatto resta una distorsione.  Il contrario di “merito” non è “uguaglianza”, o “giustizia”, ma semmai “privilegio”. Un mondo in cui le persone non possono emergere ed esprimersi in virtù dei propri meriti è un mondo che privilegia proprio le cose di cui non si porta alcun merito diretto. E quali sono queste cose? Quelle che hanno dominato per secoli nelle società non meritocratiche. Ciò che si eredita per nascita, innanzitutto (vi viene mai in mente quando guardate “The Crown”?). Quindi un titolo nobiliare. Ma anche una classe, una posizione o uno status, dovuti al possesso di beni o a ricchezze trasmesse per linea parentale. 

Le società feudali non sono meritocratiche. Le società aristocratiche non sono meritocratiche. Le società divise in caste non sono meritocratiche. Ad essere quantomeno un po’ più meritocratiche sono le società moderne, che consentono o incoraggiano la mobilità sociale. In nome forse della giustizia ma certamente nell’interesse dell’efficienza. Le società meritocratiche sono le società aperte, affluenti, complesse. Anche selettive, competitive e spietate, non c’è alcun dubbio.

Qual è la condizione indispensabile affinché una società possa dirsi sinceramente meritocratica? L’uguaglianza delle opportunità. Cioè l’uguaglianza che si viene a creare “ai blocchi di partenza”. Situazione quasi impossibile da realizzarsi fino in fondo, ma a cui si dovrebbe comunque tendere. Altrimenti è chiaro che una persona che parte avvantaggiata potrà poi coltivare più facilmente le sue doti e diventare, agli occhi di tutti, una persona che merita, più di altre. Avere un buon sistema di istruzione pubblica è, in questo senso, il pilastro fondamentale di un sistema basato sull’uguaglianza delle opportunità. Ed è altrettanto importante che il welfare non distribuisca risorse in maniera indifferenziata (“fare parti uguali fra diseguali” diceva don Milani, è profondamente ingiusto), ma sostenga coloro che ne hanno veramente bisogno. 

Vanno in questa direzione misure che hanno caratterizzato anche la mia giovinezza, come concedere in prestito gratuito i libri per studiare ai figli delle famiglie meno abbienti, o riconoscere loro una borsa di studio per la frequenza dell’università. La condizione per accedere a queste e altre forme di sostegno era il merito scolastico. In questo modo si premiava il merito e si incentivava l’ascesa sociale di chi proveniva dai settori meno privilegiati, senza per forza di cose incoraggiare una competizione sfrenata. 

Hanno funzionato, queste misure, nel fare dell’Italia un paese un po’ meno classista e ingessato? Io credo di sì, almeno per quanto riguarda i figli del baby boom. Poi ad un certo punto la mobilità sociale si è bloccata. E questo non sembrerebbe essere un fenomeno solo italiano. Uno studio recente, pubblicato dall’American Economic Journal, mostra che in realtà la situazione è un po’ più complessa di così. Nel Nord, e nel Nord Est in particolare, l’ascensore sociale ancora funziona, anche se, certo, chi nasce in una famiglia ricca è comunque più avvantaggiato. Dove però l’ascensore è davvero bloccato è nel Sud dell’Italia. E questo spiega perché a tutt’oggi tanti giovani ancora emigrino.

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Pubblicato da Marco Pontoni

Bolzanino di nascita, trentino d’adozione, cittadino del mondo per vocazione. Liceo classico, laurea in Scienze politiche, giornalista dai primi anni 90. Amori dichiarati: letteratura, viaggi, la vita interiore. Ha pubblicato il romanzo "Music Box" e la raccolta di racconti "Vengo via con te", ha vinto il Frontiere Grenzen ed è stato finalista al premio Calvino. Ma il meglio deve ancora venire.