Esplorare la bellezza. E donarla a chi verrà

Trentasette anni fa, nella sua casa di Oltrecastello frazione di Povo, un bambino decenne che si chiama Alessandro Franceschini è alle prese con il tema di italiano in cui deve scrivere che cosa pensa di fare da grande. E lui scrive che vuol fare l’architetto. Ha ritrovato a distanza di tanti anni, e non senza un certo stupore, quel quaderno di italiano il nostro Alessandro, architetto e urbanista, docente universitario, giornalista, direttore di riviste come la storica UCT, autore di libri, eccetera… Insomma un bel personaggio. Gli propongo di fargli uno dei miei ritratti su Trentinomese e lui accetta. Anche se ha scarsa propensione a parlare del passato, con la testa che si ritrova piena di progetti futuri, di cose da realizzare, da architettare. Ha sempre interpretato il suo mestiere affiancandolo ad un’intensa attività culturale: “Essere architetto oggi – spiega – non è più solo una professione, ma un modo di vivere dentro la società, una forma mentis. Si tratta di un percorso di studi caratterizzato dalla multidisciplinarietà che aiuta a interpretare la complessità della contemporaneità e a mettere insieme cose e processi, cercandone la coerenza, il senso e il significato. 

Nel 2012 con gli studenti di ingegneria edile – architettura durante un sopralluogo sulle colline di Pressano

Gli chiedo di parlarmi della sua infanzia (è dal bambino che devi partire se vuoi capire l’uomo): “Sono nato 47 anni fa sulla collina di Trento, a Oltrecastello, dove ho passato un’infanzia meravigliosa: vita agreste, semplice, schietta, non molto dissimile a quella delle generazioni che hanno abitato la collina nel corso dei secoli scorsi. Oltrecastello allora era un piccolo mondo antico, per citare Fogazzaro, un insediamento agricolo e una comunità coesa, le strade e le piazze piene di spiazzaròi. Si parla il dialetto anche alla scuola elementare, ospitata in un edificio di fortuna in legno. Nei giorni più freddi dell’anno il riscaldamento non bastava e le lezioni venivano sospese…”. In effetti l’edificio di fortuna era una di quelle che venivano chiamate baracche; e negli anni Settanta, alle scuole Medie di Povo, ci ho insegnato anch’io. Per altro erano dei prefabbricati in legno abbastanza spaziosi con il tetto formato da uno zoccolo di ghiaia che fungeva da isolante (ne è rimasta ancora una in Via Fermi, addossata all’ex Distretto militare, divenuta sede degli alpini dell’ANA). Si era ricorsi a quella soluzione architettonica a causa del continuo incremento degli alunni. 

Le famiglie erano tutte numerose: lo stesso Alessandro è il penultimo di cinque figli. Il padre Antonio, meccanico, la madre Carla, casalinga che ha frequentato i corsi di sartoria di Alma Gadotti ed è una brava sarta. In casa, almeno per i vestiti, non c’erano problemi. Ma per il resto era dura. 

1996, giovane studente di architettura a Venezia.

Alle origini della scelta professionale di Alessandro ci sono tante piccole scoperte infantili: “Se scavo nella memoria, trovo l’odore di calcestruzzo utilizzato nei piccoli lavori edili che mio padre faceva a casa; e il cassetto pieno di bottoni (tanti, colorati, con fogge diversissime) e i tessuti (nella loro matericità tattile) nella sartoria casalinga di mia madre. E poi il paesaggio della collina, la natura abitata dagli uomini, le ville conciliari, le lezioni di don Renato Scoz, per molti anni curato a Oltrecastello, che ci portava a visitare le chiese e le residenze nobiliari del territorio, insegnando a noi bambini i rudimenti per la comprensione estetica dell’architettura, della pittura, della scultura…”. 

Negli anni seguenti, le Medie alle “Pascoli”, le Superiori all’Istituto “Pozzo” per geometri. Poi il servizio militare nell’Arma dei Carabinieri. C’era bisogno di soldi se voleva laurearsi e l’anno di servizio stipendiato gli fu molto utile per poter iniziare a frequentare la facoltà di architettura a Venezia: “Nella città veneta ho trascorso sei anni densi, irripetibili, non solo di tanto studio ma anche di occasioni formative, di maestri, di amicizie. Ho imparato che la vita è un’esperienza che va gustata in tutta la sua bellezza. Il clima culturale della città e la sua stessa conformazione architettonica rendono qualsiasi esperienza unica…”. Risiedendo nella Casa dello Studente assieme a ragazzi che venivano da tutto il mondo, fra studio, trastulli e piccoli lavori per sbarcare il lunario, trascorse sei anni all’insegna delle arti figurative e dell’architettura; ma anche della musica e del teatro (lui stesso recitò, supportato da un fisico da attore, da fortunato con le donne…). Fondamentale fu anche la possibilità di frequentare conferenze di alto profilo: “Un giorno vado all’Accademia di Belle Arti, ad ascoltare il filosofo Manlio Sgalambro; prendo posto in platea e mi si siede accanto Franco Battiato…”. Poi le lezioni di docenti come l’urbanista Bernardo Secchi, dei filosofi Franco Rella e Massimo Cacciari, dello storico Manfredo Tafuri, degli architetti Franco Purini e Francesco Venezia, del fotografo Italo Zannier… 

Con la compagnia Emit Flesti, tra Alessio Dalla Costa e Massimo Lazzeri

Dopo quegli intensi anni Franceschini rientra a Trento: “una città a suo modo difficile – con ritmi e meccanismi sociali particolari – come dice – compassata, indecifrabile. A tratti rude, proprio come le montagne che la circondano.” Cerca il suo ruolo, il suo posto nel mondo, ma non sente il bisogno di cercarlo lontano. Ha la curiosità di sperimentare, di esplorare: dalla ricerca e didattica in ambito universitario, al teatro, alla poesia, alla professione di architetto e urbanista, al giornalismo: “Ero alla ricerca di una chiave di lettura, un passaporto per capire l’anima di questa terra incastrata tra i monti”. Una delle esperienze giovanili utili in questo senso, fu l’impegno nella realizzazione dell’Opera poetica di Marco Pola (2006), grazie ad un editore coraggioso com’è Marco Albertazzi, titolare de “La finestra” di Lavis, nel centenario della nascita del grande poeta trentino. Un lavoro ponderoso, fatto con generosità e passione. I versi di Pola sono una finestra che si schiude sul Trentino: “Ma ci sono molte altre biografie – dice Alessandro – che ci insegnano come si possa vivere in questo contesto senza rischiare di essere provinciali e di sentirsi travolti dalle ossessioni dei monti giganteschi (come recita un verso di Pola). Penso ad architetti come Adalberto Libera e Giovanni Leo Salvotti; a pittori come Cesarina Seppi, Mariano Fracalossi, Marco Berlanda; a riferimenti più recenti come il giornalista Franco De Battaglia, l’editore Loris Lombardini e, se mi permetti, anche il poeta e scrittore Renzo Francescotti. Figure, solo per citarne alcune, che ci insegnano a cogliere la dimensione meravigliosa di vivere in una terra di montagna, tra il nord e il  sud, tra le Alpi e il mare, senza perdere la consapevolezza di essere parte di un mondo più grande e di vivere in un territorio-cerniera”. 

Franceschini conclude il suo ampio giro d’orizzonte sentendosi anche di appartenere a una generazione-cerniera: “Credo che il compito della mia generazione sia quello di essere un ponte: abbiamo avuto la fortuna di vivere in un’epoca analogica, con un tempo cadenzato dai ritmi naturali, assorbendo tutta la cultura della tradizione, ma anche di essere immersi nell’era digitale, comprendendone le potenzialità e il linguaggio. Probabilmente il nostro ruolo storico, generazionale, sarà quello di fare da anello di connessione tra due epoche profondamente diverse: spiegare ai ragazzi di oggi che usano i social network quanto di buono e di bello ci sia nella storia della nostra città, del nostro territorio, della nostra gente”.

Con i figli Agata e Cesare, nel 2014

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Pubblicato da Renzo Francescotti

Autore trentino dai molti interessi e registri letterari. Ha al suo attivo oltre cinquanta libri di narrativa, saggistica, poesia in dialetto e in italiano. È considerato dalla critica uno dei maggiori poeti dialettali italiani, presente nelle antologie della Garzanti: Poesia dialettale dal Rinascimento a oggi (1991) e Il pensiero dominante (2001), oltre che in antologie straniere. Sue opere sono tradotte in Messico, Stati Uniti e in Romania. Come narratore, ha pubblicato sei romanzi: Il Battaglione Gherlenda (Paravia, Torino 1966 e Stella, Rovereto 2003); La luna annega nel Volga (Temi, Trento 1987); Il biplano (Publiprint, Trento 1991); Ghibli (Curcu & Genovese, Trento 1996); Talambar (LoGisma, Firenze 2000); Lo spazzacamino e il Duce (LoGisma, Firenze 2006). Per Curcu Genovese ha pubblicato Racconti dal Trentino (2011); La luna annega nel Volga (2014), I racconti del Monte Bondone (2016), Un Pierino trentino (2017). Hanno scritto prefazioni e recensioni sui suoi libri: Giorgio Bàrberi Squarotti, Tullio De Mauro, Cesare Vivaldi, Giacinto Spagnoletti, Raffaele De Grada, Paolo Ruffilli, Isabella Bossi Fedrigotti, Franco Loi, Paolo Pagliaro e molti altri.