Giuseppe Niccolini: “Ecco come ho vestito il Novecento”

Cominciamo con dire che la casa dei Niccolini è una gioia per gli occhi. Un giardino incantevole, curatissimo, coreografico e una casa a tre piani in stile neorinascimentale. Pare incredibile ma siamo praticamente in centro città, eppure guardandosi attorno la sensazione è quella di trovarsi sul set di un film di Ettore Scola o di Luchino Visconti. 

Giuseppe Niccolini, classe 1924, ci accoglie sorridente, assieme alla signora Mariuccia, malcelando la consueta ritrosia che prende l’intervistato di turno allorquando quei ficcanaso dei giornalisti fanno irruzione nella loro privacy. Si sa, raccontare la storia della propria famiglia, spifferare davanti al microfono la successione aritmetica di tutti gli anni oramai trascorsi è attività piacevole, ma di quella piacevolezza che dà anche un po’ di preoccupazione. È la prima volta che Beppino – così ama farsi chiamare da sempre – si concede alla stampa. A convincerlo, la nostra simpaticissima complice, la nipote Valentina, che ha curato l’immagine dell’azienda trentina fino al 2019, anno della definitiva chiusura.

Trento alla fine di luglio è una fornace. Velluti, broccati e tende non aiutano certo a rinfrescarsi. “Abbiamo sempre vissuto senza condizionatori – dice Niccolini – ma quest’anno non ci sarebbero dispiaciuti”. Vabbè, non c’è nessun problema. Vorrà dire che per questa volta la rubrica anziché “Un caffè a casa di…” la chiameremo “Un aperitivo (ghiacciato) a casa di…” Il risultato non cambia.

1958. Nel salotto di casa

I vestiti nuovi della Trento asburgica

È proprio vero che lo scorrere del tempo è relativo. Verrebbe da ipotizzare che Einstein sia passato di qui, mentre concepiva la sua teoria sulla curvatura spazio-temporale. Perché pensare a tutti i nostri facebook, internet e poi le automobili, il traffico e gli uffici pubblici con i timbri e le carte bollate che stanno là fuori fa uno strano effetto. Sembra tutto finto, quasi impossibile. E non parliamo solo dello scenario, ma della storia che Giuseppe Niccolini comincia a raccontare, sorseggiando un Campari che scioglie velocemente i cubetti di ghiaccio con cui è costretto a condividere il bicchiere. Si narra di un altro Giuseppe, un omonimo, nato nel 1837 dalle parti di Salè di Povo: è da lui che parte l’epopea industriale dei Niccolini. Anzi, a voler essere più precisi, da uno dei suoi figli, ancora un Giuseppe che a quel nome affianca un Filippo. Giuseppe Filippo Niccolini, dunque, classe 1858, è un genio. Una di quelle persone che Dio, la Natura, il Fato di tanto in tanto si divertono a dotare di un talento fuori dal comune, di una vista che non si limita a misurare gli spazi umani, ma prevarica il tempo, lo cavalca e lo curva, proprio come piacerebbe ad Alfred Einstein. Ha solo quattordici anni, Giuseppe Filippo, quando inizia a praticare l’attività sartoriale. Trento è città asburgica. Tanti sono i poveri, ma i benestanti e i nobili non mancano. Così come di certo non scarseggiano i militari, ufficiali e sottufficiali austro-ungarici a cui piace mostrarsi eleganti perfino in zona di operazioni.

PAPÀ BENIAMINO, LA GRANDE GUERRA e la divisa di Francesco Baracca

Comincia l’infausto 1914 e in tutta Europa tira un brutta, bruttissima aria. Lo scoppio della guerra è solo un segreto di Pulcinella. Giuseppe, nel frattempo, si è costruito un’ottima fama nel botteghino di via S. Pietro, confezionando e vendendo pantaloni e vestiti in tela russa. Col passare degli anni la sua attività – a cavallo tra i due secoli – ha goduto di un sempre maggiore successo, si è trasferita in Via Roma, dove si è formata una discreta clientela, e dove ha cominciato a pensare di dar vita ad una sartoria moderna, con annessa rivendita di stoffe e vestiti su misura. L’iniziativa ha avuto successo; il negozio ha cambiato ancora sede prima di approdare nel 1904 in via Calepina. 

Negli anni che seguono, il fondatore ha cominciato ad avvalersi dell’aiuto di tre figli, nati nel frattempo: Beniamino (1890-1975), Mario e Silvio. I Niccolini diventano ben presto sinonimo di eleganza. I loro negozi dei luoghi in cui si celebra il culto laico della Bellezza. 

Prima che Gavrilo Princip esploda i suoi colpi fatali a Sarajevo, nel 1908, l’apprezzatissima famiglia di sarti si trasferisce nuovamente in via S. Pietro dove apre i battenti l’Abitificio Trentino. Tre anni dopo, nuova apertura, sempre sulla stessa via. Ma la Storia di elegante ha poco o nulla, se non le uniformi degli ufficiali. La Grande guerra irrompe selvaggia.

“Quando si capisce quello che sta per accadere, la mia famiglia si trasferisce nel Regno d’Italia, a Torino”, ci ricorda Beppino. Tanto si è costruito e il rischio di dissipare tutto, di dare in pasto ogni cosa al vorace conflitto è molto alto. A Torino, i Niccolini ci mettono poco a farsi conoscere. La loro professionalità diviene ben presto oggetto di passaparola negli ambienti del bel mondo cittadino. Per dirne solo una, in quegli anni, Beniamino cuce con le sue magiche mani la divisa di Francesco Baracca, l’asso indiscusso dell’aviazione italiana.

Il piccolo Giuseppe con papà Beniamino, alla posa della prima pietra della casa di famiglia. È il 10 maggio 1933

CENTO OPERAI IN PIAZZA BATTISTI

Passa la guerra, i Niccolini tornano a Trento, ma hanno già clienti in tutta Italia: Roma, Firenze, Napoli e perfino in Sardegna. Beniamino è instancabile. Più che un sarto agisce con la lungimiranza e il fiuto di un moderno manager ante litteram, promuovendo il proprio marchio di fabbrica: Niccol. Una troncatura del cognome che assegna una sorta di patente internazionale all’azienda, oltre che un vago alone di esotico mistero.

Nel 1921, si inaugura un terzo esercizio commerciale, “All’eleganza”, con annesso stabilimento di confezioni.

L’8 dicembre 1924, in quella casa ad angolo, Ada Clauser, elegante signora originaria della Valle di Non, dà alla luce il nostro Beppino.

Di lì a poco, l’azienda raggiunge la sua massima dimensione. “In Piazza Battisti, alla fine degli anni Trenta, arrivano a lavorare circa cento operai – ricorda Giuseppe. La lavorazione partiva dalle fodere che le operaie bagnavano nelle rogge che allora attraversavano Via S. Simonino. Le tre iniziative commerciali prima esistenti vengono riunite in un unico grande complesso, con doppia entrata proprio da via S. Pietro”. 

“Certo – continua – non è così semplice – sorride Beppino. Gli architetti fascisti delle commissioni di controllo ci tengono ad affermare i propri criteri stilistici.” Il Sass viene sventrato, più di 40 case considerate malridotte vengono distrutte. Ecco sorgere la “fascistissima” Piazza del Littorio.

1982, si ristruttura il palazzo. Beppino “sbuca” dal tetto con la Torre Civica sullo sfondo

UNA CASA DA AMARE

Diciamo la verità: se questa storia terminasse qui, avrebbe già un numero di aneddoti, personaggi e intrecci sufficienti a farne un romanzo d’appendice. Ma si metta comodo il lettore perché probabilmente non siamo nemmeno a metà del percorso. Beppino Niccolini è solo un ragazzino, quando Beniamino realizza il proprio sogno di costruire una casa tutta sua. Un luogo unico, da tirar su con amore, da amare e da far amare a tutta la discendenza. Quattro mura (si fa per dire…) destinate a raccogliere tutto l’amore di cui gli appartenenti ad una stessa famiglia sono capaci di scambiarsi. Occorre un grande architetto. E quello a cui l’impresa è stata affidata non è di certo un fesso. Anzi. È un Renzo Piano di metà Novecento: si tratta del grande Emilio Paor, autore tra le altre cose della Filarmonica di Via Verdi. Come fosse un enorme vestito fatto di piante, il giardino viene invece disegnato dallo stesso Beniamino, ispirandosi ai cosiddetti giardini romantici ottocenteschi.

Brasile, 1955. Da sinistra, Beniamino, Mariuccia, Ada, e i piccoli Rosella e Pierpaolo

SBALLOTTATI TRA I TEDESCHI, INGLESI E AMERICANI

Quelli che il padrone di casa ci sta indicando assomigliano a dei tagli nel legno delle porte. Beppino sorride bonario e ci spiega che durante l’occupazione nazista, la casa non passa certamente inosservata ai gerarchi che la destinano subito ad accogliere il Comando delle SS.  

I Niccolini, ovviamente, sono costretti a rifare le valigie, come trent’anni addietro. Nuovo giro, nuova guerra. La produzione si arresta come d’incanto. L’onda bellica è come uno tsunami che se ne frega delle passioni, del lavoro e di qualsiasi cosa profumi d’umanità. “La mia famiglia si ritira a Lavarone. Io preferisco i mille metri di Selvino, in Val Seriana”. È da lì che seguono tutto l’assurdo svolgersi di quella recita a soggetto chiamata Seconda guerra mondiale. Beppino fa in tempo a laurearsi in Economia alla prestigiosa Bocconi, prima di riunirsi con papà Beniamino e mamma Ada. 

Solo che la fine della Guerra non significa poter riprendere pieno possesso della propria casa. “Qualcuno ci diceva: che matti siete a starvene in campagna. Rischiate di perdere tutto…” E in effetti. In quella casa neorinascimentale i tedeschi non ci sono più. Sono gli americani e gli inglesi ad averne preso possesso, ora. “Per diversi mesi i Niccolini praticano una difficilissima convivenza con gli yankees che, bicchieroni di whisky alla mano, ciondolano tutto il giorno al piano di sopra.” Ma dicevamo dei tagli sulle porte… “Tutto sommato, i tedeschi si erano comportati abbastanza bene. Gli inglesi, invece, facevano a tiro a segno con i pugnali sulle porte di casa. Per tacere di tutto il resto…” Insomma, si malsopporta la convivenza, in attesa che il Piano Marshall possa prendere il via.

Niccolini mostra i segni lasciati dai pugnali dei soldati sulle porte di casa

Nuovo mondo: ECCOCI QUI!

Chi l’ha detto che il 25 aprile ha fatto dell’Europa un posto libero? “Non era per niente così – afferma il Nostro –, non subito, almeno. Alcide Degasperi stava facendo un lavoro egregio, ma non bastava a tranquillizzarci. C’era il fondato timore che un nuovo conflitto scoppiasse di lì a poco”.

È per questo che le porte del Nuovo Mondo si schiudono al mai quieto incedere dei Niccolini. Veri e propri cittadini del mondo, sempre pronti a sperimentare nuove frontiere, a cambiare lingua, abitudini e città. “Facciamo una ricognizione in Argentina: Buenos Aires, Cordoba, Mendoza e scegliamo di stabilirci lì. Nel ritorno, però, recatici a visitare zio Saverio a San Paolo, i molti cugini ci convincono che è meglio rinunciare alla dittatura di Peron, e scegliere il Brasile, molto più indietro in tutto, ma infinitamente più pacifico. Riconosciamo la fondatezza dei loro ragionamenti e per questo scegliamo: San Paolo. In Brasile, ci sono già da tempo alcuni parenti: Jose Niccolini, cugino di Beniamino, Direttore della radio di San Paolo, e un altro cugino, Luis Niccolini, altro cugino, che possiede una grossa tipografia. A Trento, rimangono i due fratelli di Beniamino, Mario e  Silvio. 

Comincia così, nel 1947, il capitolo sudamericano di questa storia. La Niccol, fabbrica di pantaloni, si conquista ben presto una grande notorietà perfino laggiù. E i clienti danno soddisfazione. “Quando erano contenti del lavoro te lo dicevano, mica come gli italiani….” In tanto lavorare, Beniamino non perde certo il suo senso estetico. “Si fece costruire i mobili da un artigiano giapponese. Comunicavano a gesti…” 

1933, la folla si accalca per ammirare le nuove vetrina del negozio in Via San Simonino a Trento

Una storia brasiliana

Galeotta fu quella scuola fiorentina, dove Dianella, la sorella di Giuseppe, aveva per compagna di classe una certa Maria Endrici, appartenente all’antica famiglia nonesa dei de Endrici. “Facevo un sacco di cose in quegli anni – ricorda –, facevo spesso la spola tra le Americhe e l’Europa, andavo alle corse a Merano, ad esempio. Ma alle donne non ci pensavo seriamente.” È evidente di come Cupido la pensasse diversamente, perché le nozze vengono celebrate nella chiesa di San Michele all’Adige il 7 settembre del 1950. Il viaggio di nozze è una crociera, su un bastimento che porta gli sposini verso la loro nuova destinazione: San Paolo del Brasile. Arrivano subito tre figli, Pierpaolo, Rosella e Romano.

Tuttavia l’ipotesi di un ritorno a Trento resta sempre nell’aria. Anzi, scritto nel libro dei destini. Nel 1955, proprio nella città trentina, viene a mancare Silvio, amministratore della Niccolini, che lascia la propria parte di eredità proprio al nipote “brasiliano”. Insomma, non ci vuole una chiromante per interpretare questi segni. 

A Beppino luccicano un po’ gli occhi. Raccontare una storia tanto lunga a volte risulta più faticoso che viverla… Come trova Trento al suo ritorno nel 1957? Quella Trento sonnacchiosa e ferita che si prepara ai pazzi anni del boom economico? “Le dico la verità – confessa il Nostro –, lavoravo a testa bassa, con grande passione. Non ci ho fatto caso.” Già, ha ragione: ad ognuno il suo mestiere. Certe cose le lasciamo dire ai sociologi, agli storici e compagnia bella. Un sarto fa vestiti e non si perde certo in vuote dietrologie.

“Bisogna uscire prima di cominciare a zoppicare…”

Eccola, allora, la modernità. Fatta di movimento e di voglia di fare, di allontanarsi sempre di più dagli anni bui della guerra. Alla Niccolini sono anni intensi, di grande produzione. Tessuti, confezioni per grandi e piccini. Vanno molto anche gli abiti per le prime comunioni. “A dire la verità, il mercato per i bimbi è finito nel momento in cui i genitori hanno cominciato a chiedere il parere dei bimbi stessi.” 

Nel 1983, avviene una grande ristrutturazione dell’azienda. Il negozio si rinnova, arrivano nuovi arredi (“I tedeschi avranno molti difetti, ma i mobili li sanno fare, eccome”).

Come fa il sub, che risalendo in superficie, si ferma più volte per compensare la pressione, con estrema gradualità, nei primi anni Duemila, avviene il distacco di Beppino Niccolini dal suo ruolo attivo in azienda. Non è facile, certo, dopo tutto il tempo che è passato, farsi da parte, lasciare il timone a Pierpaolo e a Rosella. È lui stesso a confessarlo: “Per me era naturale essere lì, ma capivo che bisogna sempre uscire prima di cominciare a zoppicare…”. 

Iperorganizzato, metodico, Beppino oggi si gode la bellissima casa progettata da Emilio Paor, assieme alla moglie Mariuccia, leggendo molto, facendo passeggiate e qualche viaggio, dispensando ancora preziosissimi consigli ai propri figli, ma anche a due dei giovani nipoti, Valentina e Federica.

A proposito: ogni tanto, prima della chiusura del 2019, Bepi faceva capolino in negozio. Non mancava mai il vecchio cliente che lo riconosceva e, tra il serio e il faceto, gli domandava: “Elo ancora chi, lu”?!

Foto di famiglia: da sinistra, Rosella, Mariuccia, Valentina e Beppino Niccolini
Domande fisse
Il libro che sta leggendo?
“Nel giardino della musica. Claudio Abbado: la vita, l’arte, l’impegno”, “Fryderyk Chopin, ritratto d’autore”, di Piero Rattalino. E poi articoli e libri di Philippe Daverio (riviste d’arte, arredamento, antiquariato, bell’Europa, AD. In casa ha sempre almeno tre quotidiani Ndr.)
Il piatto preferito?
Tutti. Basta che siano buoni. Per dirne uno, un buon risottino coi funghi trentini. Nelle occasioni speciali, escargot a la bourguignonne e paté.
Il film del cuore?
“Indovina chi viene a cena”, con Spencer Tracy, Katharine Hepburn e Sidney Poitier.
Cantante, compositore o gruppo preferito?
Bach suonato da Glenn Gould.
Se non avesse fatto quello che ha fatto, cosa avrebbe voluto fare?
Non mi sono mai posto la domanda.
La cosa che le fa più paura?
Nessuna.
Il sogno ricorrente?
Non ne ho.
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Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.