Il festival di Sanremo? Un’occasione sprecata

Premessa: questo articolo è pura utopia. Il mercato ha vinto e continuerà a vincere.

È finito il ciclo del Sanremo di Amadeus e, come in tanti hanno scritto, questo quinquennio ha segnato un passaggio fondamentale per la trasmissione. Il direttore ha raggiunto due obiettivi: coinvolgere le generazioni più giovani e sbarcare sui social, anche per la brillante intuizione di sponsorizzare il FantaSanremo, inventato da alcuni ragazzi proprio durante la prima di Amadeus, nel 2020. Il Covid ha forse aiutato in questa spinta unificatrice, essendo stato in tutti i casi una tragedia/epopea nazionale. Lasciando perdere il FantaSanremo, a mio giudizio un gioco imbarazzante per una competizione artistica, e la risonanza data dai social, che in fondo caratterizza ogni aspetto dei nostri tempi, è interessante capire se il principale obiettivo sia stato colto e sfruttato appieno. 

Amadeus, invitando molti concorrenti e ospiti nati dopo il 2000, si è preso un grosso rischio, che ha pagato oltre ogni aspettativa: da un lato i giovani hanno conosciuto i grandi artisti del passato, dall’altra, con grande sorpresa in alcuni casi, i più anziani si sono trovati ad apprezzare concorrenti che sulla carta sembravano tutto tranne che appetibili. Già l’anno scorso scrissi su questo tema, e sul sottilissimo tentativo da parte della televisione pubblica di anestetizzare ogni spinta sovversiva nel calderone della emotiva sagra nazionale. Anche quest’anno, in fondo, vedere che la polemica sulle frasi di Ghali si sia scatenata a partire dal palco di Mara Venier (Mara Venier!) fa capire il livello infimo sul quale ci si trova a discutere.

Obiettivo raggiunto, in tutti i casi: il ragazzo del 2003 posta un meme sui Ricchi e i Poveri e la nonna settantenne canticchia Lazza mentre prepara il ragù. Dov’è il problema? Perché questa dovrebbe essere un’occasione sprecata?

Il problema è nel criterio della scelta di Amadeus: questa ossessiva ricerca dei personaggi del momento, studiata perfettamente a tavolino per portare sul palco chi ha più streaming o chi, per carattere istrionico, può portare più interazioni sui social, genera un Festival in cui la musica è praticamente assente: un’accozzaglia di basi tra il dance e il rap, con i tutti i trenta testi scritti dagli stessi quattro o cinque autori, senza uno straccio di ispirazione artistica. Ciò che stona, poi, è l’estremismo di alcune scelte: tutte le generazioni sono rappresentate, ma spiccano i giovanissimi e  le anticaglie oggettivamente già in pensione.

Davvero non è immaginabile un Festival in cui si uniscono le generazioni più vicine, e con artisti di un certo calibro? Chiamare un rapper ventenne ci può stare, ma almeno che abbia qualcosa da dire, e magari unendolo ad altri giovani cantautori (Fulminacci e Truppi furono buone scelte) e a cantanti dai quaranta ai sessant’anni (non la Bertè o altri ospiti celeberrimi ma vecchissimi… o almeno non così tanti). In questi anni si è raggiunto un obiettivo notevole: perché non sfruttare questa eco del Festival per fare scoprire a ciascuno il meglio delle “altre” generazioni, invece che proporre il peggio del nuovo e lo stantìo e il retorico del vecchio? Se si valutassero le canzoni, nella scelta, e non i nomi o i follower, si potrebbe creare un evento interessante per tutti.

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Pubblicato da Alessandro Zanoner

Nato a Trento nel 1993, insegnante di italiano, latino e storia nelle scuole superiori. Suonatore di strada con umili tentativi da cantautore e scrittore. Mi piacciono la montagne e il Mar Tirreno; viaggio con una buona frequenza, soprattutto in centro Italia. Un pomeriggio a Roma una volta all'anno, minimo. Pavese, Moravia ed Hermann Hesse i miei autori preferiti in narrativa. Per la musica De Gregori, Vinicio Capossela, Lucio Battisti e Giovanni Lindo Ferretti.