Lettera di una professoressa

Nella vita i ricordi si legano spesso a singoli episodi, e quasi mai sono solo piacevoli. Della mia esperienza alla scuola materna è stampato in maniera indelebile quello in cui sono stata messa in castigo per aver stonato nel coro della sezione. Una punizione piuttosto umiliante – il mangiare in piedi in un angolo della sala da pranzo – che è diventata pure il cavallo di battaglia delle prese in giro di mio padre. Considerando le mie capacità canore, non posso che ammettere una certa verità. Ma essere puniti per non avere determinate qualità, mi pare eccessivo. 

Della scuola elementare ricordo due cose. La prima è il silenzio. Non volava una mosca in classe. L’anziana maestra dal grembiule nero in pieno stile “Cuore” riusciva a zittire con lo sguardo una trentina di alunni in un colpo solo. Ma dov’erano le contestazioni studentesche degli anni Settanta? Fuori da quelle aule, presumo. Questo “stile educativo” ha avuto su di me delle ripercussioni non proprio positive: per molto tempo ho faticato a esprimere le mie opinioni e a parlare liberamente, senza temere il giudizio degli altri. L’altra cosa che ricordo è il ciclo di lezioni del maestro che negli ultimi anni aveva sostituito la severa insegnante. Un intero modulo sulla droga: i vari tipi di sostanze, gli effetti che producevano, le dipendenze nel tempo. E ringrazio ancora l’emancipato maestro, considerando che è l’unico vizio che non mi ha mai attirato. 

La vera dimensione di studentessa l’ho maturata l’ultimo anno delle superiori, grazie all’insegnante di italiano.  Il classico “sessantottino”, che portava in aula tematiche forti (come la legge Basaglia) e metteva in campo metodologie innovative, come la presentazione di testi alla classe. Io avevo esposto “Il fu Mattia Pascal”, con un entusiasmo che mi aveva portato ad una buona valutazione. Ecco, penso di aver scelto cosa fare nella vita proprio in quel preciso momento. Ed era insegnare. 

LA SCUOLA, IL MIO LAVORO

La logica deduzione che deriva dalla mia esperienza è che la scuola sia fatta dagli insegnanti. E che gli insegnanti motivati facciano la differenza. Ma come per gli studenti, anche i docenti non sono tutti uguali. Nella mia carriera ne ho incontrati tanti: i zelanti, i fancazzisti, gli accomodanti, i precisini, i polemici, gli attaccabrighe, gli svenevoli, i sapientoni (e i sapientini), gli affabili, i rassegnati, gli scazzati. Una categoria varia e articolata come poche. Ma con lo stesso unico obiettivo, almeno sulla carta: infondere sapere – anche se oggi si parla più di competenze (il saper fare) che di conoscenze (il sapere nudo e crudo) – ed educare alla vita. Fosse poco! Abbiamo un carico di responsabilità enorme e ce ne rendiamo conto. E questo carico è poco riconosciuto sia a livello economico che sociale. Ne ho parlato anche di recente nella mia rubrica “Lettere da una professoressa”. Siamo tra i meno remunerati in UE e considerati sempre e ancora solo “quelli che hanno tre mesi di ferie”. 

Ma abbiamo anche un’anima. Ci vengono gli occhi lucidi quando ascoltiamo certe storie familiari, ci emozioniamo quando ci sentiamo dire che tutto sommato quell’autore “era uno giusto”, siamo orgogliosi quando ti dicono che hanno capito quello che hai spiegato, quando prendono appunti e all’interrogazione esprimono il concetto con le parole che hai usato tu. E ci arrabbiamo quando vanno al bagno e tornano dopo un quarto d’ora con una nuvola di fumo intorno, quando copiano i compiti nelle chat di gruppo o quando nascondono gli auricolari sotto i capelli. Vogliamo essere considerati. Punto. 

La bambina con la valigia

Elisa frequentava l’ultima classe delle elementari. Una ragazzina sveglia, autonoma e già molto avanti sia a livello di sviluppo mentale, sia fisico. Un venerdì la vedo arrivare a scuola con la valigia, che sistema accuratamente sotto il suo banco. Le chiedo spiegazioni, convinta di ascoltare un interessante programma di viaggio. Invece no. Mi spiega con una lucidità disarmante – che hanno solo i bambini – che il venerdì porta sempre la valigia perché “cambia genitore”. Elisa è al centro di un contenzioso tra i genitori separati; secondo quanto disposto dagli accordi giudiziari, dovrebbe trascorrere una settimana dal padre, una dalla madre. Ma non sempre è così. Durante l’intervallo, le colleghe mi mettono in guardia: devo controllare che al suono del campanello la bambina trovi il padre ad attenderla. Sì, perché poco tempo prima è successo che la madre abbia firmato un permesso d’uscita e prelevato la figlia prima del termine delle lezioni, anche quando la custodia spettava al padre. Un’infanzia con la valigia, con già tante difficoltà dentro. 

Il lanciatore di pennarelli

Giovanni è iscritto al primo anno delle scuole medie. Soffre di un disturbo allo spettro autistico, ma considerato di lieve livello. Ci viene presentato come un ragazzino generalmente tranquillo, ma guai farlo arrabbiare! Potrebbe avere delle reazioni inaspettate, come il lancio dei pennarelli. Faccio conoscenza con la classe e tutto sembra procedere con ordine. Fino al giorno in cui, al cambio dell’ora, rimango sulla soglia dell’aula a scambiare due parole con il collega dell’ora precedente. Questione di attimi, forse di secondi. Qualcuno lo provoca, lui reagisce e con la coda dell’occhio lo vedo. Uno sciame di pennarelli volanti, che sfreccia come una nuvola di siluri impazziti con caotica regolarità, fino a terminare fragorosamente la corsa intorno alla vecchia lavagna in ardesia. Da questa esperienza ho imparato alcune cose. Primo: mai sottovalutare le raccomandazioni e mai peccare di onnipotenza, dicendo “Non è detto che succeda a me”. Secondo, mai abbassare la guardia. Perché spesso è questione di secondi. 

Karim se ne va

Karim è arrivato dal Marocco in Italia qualche anno fa. Ha vissuto in una città del sud Italia per un po’, infatti ha l’accento tipico di quella zona. Poi, per il lavoro dei genitori, si è trasferito in una valle del Trentino e ha iniziato a frequentare le superiori a Trento. Ispira subito simpatia – e non è che tutti gli studenti siano simpatici a noi insegnanti, sia chiaro – forse per quel sorriso sincero e i modi educati. Mi ricorda un cantante di musica trap che spopola tra i giovani. Fatica a studiare ed è piuttosto impacciato con l’italiano scritto, ma vuole recuperare e passare l’anno. Il tema diventa uno scambio di idee: “Cosa ne dice se scrivo questo concetto? Si lega con il resto?” Lo aiuto volentieri, perché ha buoni spunti ma tende a perdersi e a deviare su altri argomenti. È benvoluto dai compagni, che aiuta quando sa qualcosa. Durante un’assemblea d’istituto lo vedo alla lavagna con un compagno. Gli stava spiegando lo svolgimento di un complesso problema matematico. Gli faccio i complimenti e mi risponde: “Eh prof, è l’unica cosa che ho capito!” L’ultimo giorno di scuola mi saluta. Se ne va in un’altra città. Altra scuola, altri compagni, altri professori. Mi ringrazia perché dice che le mie lezioni gli piacevano e che so spiegare bene. La scuola è anche questo, un passaggio veloce. Ma che conserviamo nei ricordi. 

Questo è solo un assaggio del mio lavoro. Ci sono tante storie e tante persone nella vita di un insegnante. Il tempo poi suggella qualche discorso e qualche viso, ne sfuma altri. Ci sono tanti aspetti su cui discutere. In una società che corre veloce, la scuola si trova a rincorrere. Alle volte ce la facciamo, alle volte no. Ma ci proviamo, sempre.

Lavagna a sorpresa… per la professoressa Tomasini

10 domande alla prof posson bastare

La materia sempre amata?

Letteratura italiana e autori latini (Orazio in primis, in foto). Ma anche tedesco non era male. 

Quella da sempre odiata?

Fisica. Non ci capivo niente, avevo un “sei” tirato.

Il complimento più bello che ti ha mai fatto un allievo.

Una studentessa di terza superiore che mi dice: “Ho sempre odiato Dante, ma adesso comincia a piacermi sul serio…”

Il primo provvedimento se fossi Ministra dell’Istruzione. 

Il riconoscimento (anche economico) della funzione di docente. 

La volta che ti sei sentita più orgogliosa del tuo ruolo. 

Quando entrando in classe è scattato l’applauso (e non era il mio compleanno).

La volta che ti hanno fatto sentire più sola.

Mai sentita sola a scuola! Impossibile. 

Aula professori…

Al rientro dalle vacanze natalizie, davanti al calendario, la prima domanda è sempre la stessa: “Il prossimo ponte?!” Oppure: “Guarda, ogni anno, sempre peggio questi studenti!”

Il giorno di sciopero.

Ne approfitto per scrivere, pulire casa, stirare, andare a correre, correggere temi, preparare le lezioni della settimana, fare aperitivo…

Il momento più bello della giornata.

Il rientro a casa dopo le lezioni: relax di mezz’ora sul balcone. Nessuno deve disturbarmi, i miei ragazzi lo sanno. Poi si riparte. 

Cosa fai durante gli annuali tre mesi di ferie (eh, eh, eh…)

Dopo la maturità, vacanze al mare. A seguire, tutto quello che non riesco a fare durante l’anno. Da anni dico che vorrei scrivere un libro, ma sono troppo brevi queste vacanze… 

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Pubblicato da Tiziana Tomasini

Nata a Trento ma con radici che sanno di Carso e di mare. Una laurea in materie letterarie e la professione di insegnante alla scuola secondaria di primo grado. Oltre ai grandi della letteratura, cerca di trasmettere agli studenti il piacere della lettura. Giornalista pubblicista con la passione della scrittura, adora fare interviste, parlare delle sue esperienze e raccontare tutto quello che c’è intorno. Tre figli più che adolescenti le rendono la vita a volte impossibile, a volte estremamente divertente, senza mezze misure. Dipendente dalla sensazione euforica rilasciata dalle endorfine, ha la mania dello sport, con marcata predilezione per nuoto, corsa e palestra. Vorrebbe fare di più, ma le manca il tempo.