Il tempo è una matassa plastica come quella del bombolonaro alle fiere, da ragazzo. Lui attaccava un gancio alla matassa da cui avrebbe ritagliato i bomboloni e la matassa, zuccherosa e coloratissima, cominciava plasticamente a calare in basso. Dopo un po’ si accostava alla matassa in movimento, la plasmava con rapidi gesti, la sollevava verso il gancio e tornava al banco di vendita. Così per alcune volte. Finché pensava che la massa zuccherosa fosse pronta per essere ritagliata a misura dei coloratissimi bomboloni.
Allo stesso modo il tempo è plastico. È passato oltre mezzo secolo e mi sembra ieri: ho insegnato i primi due anni a Tione, dal 1960 al 1962, all’Avviamento Professionale. Gli inverni nel capoluogo delle Giudicarie erano rigidi. La scuola era ospitata in una villa ottocentesca in cui le ampie stanze erano divenute aule. Ma non c´erano termosifoni: il riscaldamento era affidato a stufe di cotto, alimentate a legna periodicamente dai bidelli. Il primo giorno di scuola la mia classe, una prima tutta femminile, è ubicata al secondo piano. Salgo le scale entro in classe e dico: “Chi era la marmotta di sentinella che gridava: El vegn, el vegn!?” Ridono le ragazzine. Io avevo 21 anni e ancora tutti i miei capelli, bruni e ondulati. Ogni tanto qualcuna mi scriveva delle letterine affettuose… Tre anni dopo, laureato e abilitato, avevo ricevuto l´incarico annuale all’Istituto Tambosi di Trento per l’insegnarvi l’italiano, la storia, la geografia, l’educazione civica (sottolineo quest’ultima materia, specificata e poi sparita, di cui ora si sente il bisogno).
Ero probabilmente il piu giovane docente delle Superiori a Trento (il primo giorno di scuola un bidello mi bloccò, scambiandomi per uno studente…). Il “1968” non era ancora arrivato, ma era nell´aria e con esso la condanna per la scuola espressione del “sistema”, prigioniera del passato, tra cui, ad esempio, imparare le poesie a memoria. Il programma di italiano – a parte l’obbligo della lettura de “I Promessi Sposi”– era molto libero, molto accattivante, prevedendo solo lo studio di autori moderni, italiani e stranieri.
Entro in classe e spiego che il miglior modo di amare un poeta è quello di impararne i versi a memoria. E detto la poesia di Lee Masters “Andy il guardiano notturno”, dicendo che la volta dopo l´ avrei chiesta a tutti.
La volta successiva chiamo il primo. Non la sa: a posto, quattro! Chiamo il secondo: non la sa. A posto: quattro! Al terzo che non la sapeva i miei urli furono captati nella sua guardiola dal bidello, che mi chiese: “Sa è suzess, professor?!” La volta dopo la poesia di Masters la sapevano tutti…