
Il 16 agosto del 1942, il filosofo abruzzese Benedetto Croce si trova in vacanza con la famiglia a Pollone, in Piemonte. Addormentatosi normalmente, deve però destarsi in preda all’agitazione subito dopo la mezzanotte. Ogni tentativo di riaddormentarsi si rivela vano, cosicché Croce decide di abbandonare il letto e di cominciare a scrivere attorno la domanda che quella notte ha deciso di non dargli pace: “Perché non possiamo non dirci cristiani?” Un dubbio che non va certo ad intaccare le sue convinzioni profondamente laiche, né lo spinge a schierarsi dalla parte della Chiesa di Roma. Tuttavia, scrive Croce, «Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta e operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale…”.
La siccità di quest’estate con la conseguente crisi idrica, l’aumento dei costi dell’energia, le tragedie che anche vicino a noi hanno sottolineato come occorra un cambio culturale nell’approccio al turismo e, quindi, nel nostro caso, a quello alpino. E c’è che la cosa non riguarda solo una sparuta minoranza di arditi che si arrampicano oltre i tremila metri, ma riguarda tutti noi. Al punto che anche noi, come Croce, dovremmo destarci in piena notte con una domanda nuova che ci batte in testa: “Perché non possiamo non dirci ambientalisti?” Proviamo a rispondere? Dai!
Perché il mondo che i nostri padri ci hanno lasciato è notevolmente diverso da quello che ci accingiamo a lasciare ai nostri figli. Perché di fronte ad una politica inetta e attendista siamo noi i primi a doverci dare una svegliata, a prendere l’iniziativa, ad alzare la voce, se necessario.
Perché, così come il cristianesimo “laico” di Benedetto Croce, un nuovo ambientalismo universale, non dogmatico né di facciata, possa fare spazio a una visione inedita della storia. Un posto in cui l’uomo e la donna agiscono secondo una nuova morale basata sull’amore, verso il prossimo e verso la Natura, nel cui grembo svolgono le proprie esistenze.