Il finale del libro lo abbiamo letto proprio negli ultimi giorni di scuola. Ma forse, più ancora dell’epilogo, è piaciuto l’inizio di questa grande amicizia tra due ragazzi sedicenni. Questo amico che “doveva diventare la fonte della mia più grande felicità e della mia più totale disperazione”. Un genio della letteratura quel Fred Uhlman, che scrive poco e in tarda età ma crea un capolavoro. “L’amico ritrovato” rispecchia tanto i sentimenti forti dei ragazzi. Soprattutto a fine anno.
Ed in effetti, ogni fine anno scolastico racchiude precisi rituali, a seconda delle età degli studenti. Che sono più forti e importanti soprattutto quando si chiude un ciclo di studi e si sa – inevitabilmente – che tutto quello che è stata l’essenza di anni di convivenza sta per chiudersi. Non per sfumare delicatamente, ma per chiudersi in maniera definitiva. Si tratta di formulari di saluto, di momenti di condivisione, di canzoni e piccoli show improvvisati. Uno tra i più classici, che si tramanda di generazione in generazione, è l’imitazione dei professori. Uno esce dall’aula, bussa e quindi entra con tono di voce, frasi tipiche e postura di uno dei docenti. Risata generale, “è lui!”, “è lei!”. Un altro rituale tipico è quello delle sorprese, architettate dalla classe per il professore di turno. Quando, verso gli ultimi giorni di scuola, arrivi e trovi la porta dell’aula chiusa, preparati, sta per succedere qualcosa. Quelli dell’ultimo anno hanno una fantasia insospettabile..! Ce l’avessero messa per scrivere temi e relazioni! Uno dei più eclatanti della mia carriera è successo proprio di recente. Porta chiusa, collega complice che mi passa il testimone con uno strano sorrisetto e tac! Appena varcata la soglia, parte una musica di sottofondo; le veneziane sono abbassate e le luci spente. Tutti aspettano dietro la cattedra e mi consegnano un cartellone con tanti loro pensieri e le loro firme. Mi costringono a leggere tutto a voce alta, mentre le note di Ed Sheeran sembrano ancora più struggenti. Fortuna che ho la borsa piena di caramelle, che spargo sulla cattedra per rendere un po’ più dolce il distacco.
Che dire delle confessioni più o meno pubbliche? Quella cotta trascinata per anni, finalmente esce allo scoperto… adesso non c’è più nulla da perdere! Ed eccoli lì, quegli sguardi un po’ strani, tra l’imbambolato e il sorridente, tra il sognante e l’appannato. “Ma come, non lo sa prof che a lui piaceva lei?” “Eh dai, si vede come si guardano…!”
Altra caratteristica degli ultimi giorni di scuola – complice il caldo – è vestirsi sempre meno. Le ragazze mi svelano che escono di casa vestite in un certo modo, poi si trasformano. Insomma, un look più rigoroso da far visionare ai genitori, un look molto più disinvolto da esibire a scuola. L’abilità consiste nel vestirsi a strati, liberando un po’ per volta tutto l’inservibile. Sfilano così top molto succinti, tanto da suscitare qualche ragionevole dubbio: ma a te non pare un reggiseno più che un top quello?! Ci si chiedeva tra prof. Interpellate sulla tipologia del capo d’abbigliamento, le ragazze argomentano, eccome se argomentano! “No prof, i top quest’anno vanno di moda di pizzo nero e ben sopra l’ombelico!” Per non fare l’antidiluviana, rispondo scherzando che ne ho l’armadio pieno, dai tempi in cui si ballava in discoteca il remix del “Tuca Tuca”.
Immancabili gli abbracci. È vero che con il Covid non si potrebbe, che la distanza deve essere il metro, che il pavimento dell’aula è pieno di bollini colorati ad ognuno dei quali corrisponde una persona ed una posizione. Ma a fine anno anche la pandemia non riesce ad avere la meglio sul bisogno di contatto fisico che scatta tra i ragazzi. Si prendono per mano, si stringono, piangono. Piangono continuamente. Questo è il bello dei ragazzi: sono spontanei e raramente hanno mezze misure. O è bianco, o è nero. O si ama, o si odia. O si è straordinariamente allegri, o si è distrutti dalla tristezza. Le vie di mezzo sono più roba da adulti un po’ pallosi, scappatoie per non dire e fare realmente ciò che si pensa. E un autore o si adora o fa vomitare. E se a fine anno ricordano le parole di Uhlman, quasi citandole testualmente, un motivo ci sarà. “Tutto ciò che sapevo, allora, era che sarebbe diventato mio amico.”