La poesia di Pierre Reverdy ha il fascino di certe immagini che per istante tremano davanti agli occhi: distanti ed eloquenti raccontano una storia in cui il mondo scorre, scivola inafferrabile. L’esistere splende nell’ineluttabile semplicità di un quotidiano rubato.
Il poeta rimane impigliato in un sogno che si affaccia quasi goffamente sulla realtà, ma nei versi si percepisce la distanza tra sé e il mondo. I sentieri che percorre come le finestre da cui guarda delimitano un’alterità dello spazio che non è altro che quello dell’Anima. Il reale, oltre l’apparenza ingannevole, rimane misterioso e inafferrabile. L’esperienza poetica di Reverdy è quella di un contemplativo che prende a piene mani dalla realtà, oltre l’immateriale.
Il sapore del reale
Camminava su di un piede senza sapere dove posare l’altro. All’angolo della strada il vento spazzava la polvere e la sua bocca avida ingoiava tutto lo spazio.
Si mise a correre sperando di volar via da un momento all’altro, ma sul bordo del ruscello il selciato era umido e le sue braccia che battevano l’aria non l’hanno potuto trattanere. Nella caduta capì ch’egli era più pesante del suo sogno e amò, poi, il peso che l’aveva fatto cadere.
“La maggior parte del tempo” (Guanda, 1966), a cura di Franco Cavallo
Pierre Reverdy (1889 -1960)
Poeta e aforista francese. Sensibile alle ricerche dei pittori cubisti, accolse sulla rivista Nord-Sud scritti di Max Jacob, Apollinaire e di esponenti del cubismo letterario. Le sue poesie sono un tessuto di immagini insieme concrete e misteriose.