Alfonso Cappelletti: bravo, morì povero

Era l’estate del 1976 quando con la mia famiglia arrivai ai freschi ai Francolini di Folgaria. Fu così che un giorno entrai nella sala del Consiglio Comunale e la scoprii letteralmente foderata di quadri. Erano tele e tavole evidentemente di un’unica mano e tutte di ottima fattura. Ma chi era il pittore e come mai le sue opere erano finite lì? Cominciai a informarmene: qualcuno mi disse che il pittore era lì di Folgaria, morto povero una trentina di anni prima, lasciando tutti i suoi quadri al Comune. Il fatto mi incuriosì e proseguii la mia indagine. In Municipio scoprii il testamento con cui quel pittore aveva fatto la donazione dei 70 quadri da lui dipinti in una vita “Ai signori reggenti di questo Municipio di Folgaria”. Il pittore si chiamava Alfonso Cappelletti. 

Cominciai a studiare quelle opere che affollavano le pareti della Sala Consigliare. Qualche altra la scoprii in soffitta. Dopo qualche settimana comunicai il mio interesse e la mia emozione per quella scoperta all’amico Alberto Rella, in quegli anni sindaco a Folgaria. Formulandogli una serie di proposte precise. Scegliere le opere migliori del pittore folgaretano e disporle in uno spazio aperto al pubblico dopo averle fatte pulire o restaurare. Pubblicare su di lui una monografia. Organizzare su di lui una mostra di sicuro richiamo culturale e turistico per tutto l’altopiano di Folgaria e non solo. Proseguendo le ricerche qualche giorno dopo scoprii un ulteriore documento: era una lettera al Comune che portava la data dell’agosto 1946, firmata da Carlo Piovan, noto critico d’arte e studioso trentino, e da Vittorio Casetti, pittore roveretano di buona notorietà. Una lettera sollecitata evidentemente dal Comune che con essa aveva voluto sincerarsi del valore del pittore folgaretano. In quella lettera firmata da un critico e da un artista si affermava che Alfonso Cappelletti: ”quasi senza avvedersene conseguì effetti che noi dobbiamo giudicare straordinari” e vi veniva definito “eccezionale pittore dell’Altopiano. Concludendo con le stesse proposte che, ignaro, trent’anni dopo avrei suggerito anch’io. 

Il Sassolungo in Val di Fiemme visto da Moena, olio su cartone, 31×44 cm

Alfonso aveva combattuto nella Grande Guerra sul fronte orientale ed era rimasto ferito a un mano. Tornato a casa, aveva fatto il pittore decoratore. I soldi che guadagnava come pittore decoratore li spendeva subito in tele e colori. Sentiva la sua pittura come una missione e faceva la fame per non tradirla. Lo aiutavano delle amiche come Annunziata Rella o Anna Targher. Anna gli diceva spesso: ”Valà , pitor che qundo te ‘n gavarài te me ‘n darai”. 

Alfonso era benvoluto da tutti ed era buono come il pane – mi ha raccontato Anna Schönsberg. Lo aiutavo come potevo. Lo aiutavano anche altre amiche come  l’Annunziata e l’Anna. Andava avanti per giorni mangiando polenta e formaggio nel frattempo studiando la pittura da autodidatta, copiando i capolavori come il famoso “Bacio” di Hayez di cui esistono due copie, una in carboncino su carta (1922) e un olio su tela (1920), entrambi di sorprendente fattura, in particolar modo il secondo per gli effetti serici luminosi del vestito della ragazza. Ma Cappelletti, con le sue 70 opere donate al Comune, si rivela un eccezionale pittore di paesaggi: paesaggi folgaretani, dolomitici, tesini, fassani, altoatesini. Riuscire a dire qualcosa di nuovo in Trentino sul paesaggio della montagna dopo la grande lezione di Segantini è un’impresa impervia. Eppure senza ostentazioni, senza presunzioni, senza accademismi, con candida modestia, il nostro Alfonso molte volte ci riesce: ad esempio dipingendo le guglie dolomitiche accarezzando il pennello con tenerezza; o rendendo gli sfolgorii della nave come non ricordo un altro pittore abbia mai fatto; o dipingendo i boschi con purezza e geometrie rigorose; o cercando inquadrature dal taglio cinematografico. E tutto questo grazie non a modelli accademici, ma ad un infallibile istinto. 

Alfonso morì nella casa di riposo di Folgaria, finita la Seconda guerra mondiale, nel 1946, a 56 anni. Nel 2006, a 60 anni dalla morte, grazie in particolare al sindaco Alessandro Olivi, Cappelletti (1891-1946) è stato storicizzato con una gande mostra al Municipio di Folgaria (4 agosto – 3 settembre) e da un suggestivo catalogo curato da chi scrive. Ora rimane da fare l’ultimo passo: spostare i quadri dalla sede provvisoria della Sala Consigliare in uno spazio adatto, fruibile dal pubblico in qualsiasi momento.

Casupole di Moena. Olio su masonite, 35×47 cm
Le Pale di S. Martino di Castrozza sull’alzato del sole. Olio su masonide, 48×68 cm
Paesaggio invernale con capitello, acquerello su carta, 62×41 cm
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Pubblicato da Renzo Francescotti

Autore trentino dai molti interessi e registri letterari. Ha al suo attivo oltre cinquanta libri di narrativa, saggistica, poesia in dialetto e in italiano. È considerato dalla critica uno dei maggiori poeti dialettali italiani, presente nelle antologie della Garzanti: Poesia dialettale dal Rinascimento a oggi (1991) e Il pensiero dominante (2001), oltre che in antologie straniere. Sue opere sono tradotte in Messico, Stati Uniti e in Romania. Come narratore, ha pubblicato sei romanzi: Il Battaglione Gherlenda (Paravia, Torino 1966 e Stella, Rovereto 2003); La luna annega nel Volga (Temi, Trento 1987); Il biplano (Publiprint, Trento 1991); Ghibli (Curcu & Genovese, Trento 1996); Talambar (LoGisma, Firenze 2000); Lo spazzacamino e il Duce (LoGisma, Firenze 2006). Per Curcu Genovese ha pubblicato Racconti dal Trentino (2011); La luna annega nel Volga (2014), I racconti del Monte Bondone (2016), Un Pierino trentino (2017). Hanno scritto prefazioni e recensioni sui suoi libri: Giorgio Bàrberi Squarotti, Tullio De Mauro, Cesare Vivaldi, Giacinto Spagnoletti, Raffaele De Grada, Paolo Ruffilli, Isabella Bossi Fedrigotti, Franco Loi, Paolo Pagliaro e molti altri.