Una stanza con un armadio e molte divise accuratamente conservate. A questa si aggiunge una cantina di pochi metri quadri, ma arredata di tanti piccoli oggetti che hanno fatto la storia delle due grandi guerre del Novecento. Proiettili, fibbie, monete, e parecchio altro: sono il frutto di quasi trent’anni di uscite in montagna e ricerche compiute da Roberto Tessadri. Residente a Mezzocorona, ha sviluppato questo interesse soprattutto per la passione primaria dell’andare in montagna. “E secondo perché si trova qualche zona dimenticata da altri” spiega, nel sottolineare come sia sempre più difficile trovare questi oggetti. “Non sono come i funghi. Una volta che vengono raccolti non si trovano più e i punti dove raccoglierli è sempre più difficile reperirli”.
E da dove si comincia?
Documentandosi sui libri. Sulla prima linea è inutile andare perché si trovano solamente oggetti che esplodono. Ci si dedica quindi alla seconda linea, un po’ più tranquilla, in cui i soldati potevano dedicarsi anche a fare trench art, ovvero costruire anelli, penne con i bossoli, tagliacarte fatti con la zigrinatura di bombe d’artiglieria. Di fatto sono oggetti molto ricercati, perché tutti hanno capito che raccogliere bombe è facile ma è pericoloso.
Soprattutto serve stare molto attenti, perché nonostante siano cent’anni di distanza l’esplosivo è sempre un pericolo, dato che si parla di chimica.
Da quanti anni va alla ricerca di questi oggetti?
Ho iniziato nel 1994. Mentre nel 2003 ho iniziato a fare mostre. All’inizio un paio all’anno. Prima del covid ne facevamo anche nove all’anno e sempre a titolo gratuito.
Da dov’è partita questa passione?
C’era già da tempo. Dal niente non nasce niente. Appunto andando in montagna, vedevo questi manufatti e mi chiedevo perché erano così tanti. Poi ho fatto un viaggio nella ex Jugoslavia (nell’attuale Croazia) perché all’epoca ho partecipato a missioni umanitarie in quella zona. Anche da loro si combatteva per motivi religiosi e politici, com’è stato da noi. Allora ho iniziato leggendo dei libri, entrando nella visione di un Trentino “Fronte bellico”. Così ho iniziato ad andare sul campo, a vedere se fosse rimasta qualche traccia, con il metal detector, che uso solo dal 2000. All’inizio si andava a vista, si spostava un sasso, si entrava nelle trincee, nelle grotte. Allora come adesso, potevano passare anche giorni prima di trovare qualcosa. Di zona facevamo molto il Lagorai.
Ma avete perlustrato anche altre zone?
Lardaro, adesso siamo in zona Valdaone. Per essere più precisi siamo verso Storo. Sempre linea italiana. Poi c’è il Tonale e anche il Veneto, con l’Altipiano di Asiago. Luogo in cui bisogna avere il permesso per muoversi. E noi abbiamo il patentino.
Ci può spiegare meglio? Passati i cent’anni, gli oggetti sotto terra diventano proprietà dello Stato. Noi riusciamo a viaggiare con il patentino, perché è materiale affiorante e quindi si può recuperare. Se invece si trovano oggetti di interesse storico, ad esempio un diario, una cartolina, un’effige, una scultura incisa nella roccia, quello è da segnalare. Fibbie ne hanno fatte milioni e quindi non sono così preziose.
Si parla sempre al plurale.
Vuol dire che siete in tanti?
Siamo in due o tre, anche a fare le mostre. Il mio amico Epifanio Delmaschio, con il quale collaboro dal 2004, è di Molveno. E poi collabora con noi Francesca Rigotti.
Gli oggetti più grandi, tipo le divise, da dove arrivano?
È difficilissimo trovarle. A me è successo solo due volte. Erano oggetti che venivano riutilizzati naturalmente. Quindi è un qualcosa tra collezionisti, anche perché ci sono mercatini specifici. E serve muoversi per l’Italia. Con le divise che ho potrei allestire venticinque manichini della seconda guerra mondiale e sei o sette di quella prima. Ovviamente complete di pantaloni, giacca e berretto. Le abbiamo anche prestate per alcuni eventi in teatro, sempre chiedendo una certa cura perché sono pezzi unici. Gli scarponi sono ancora più difficili da trovare, proprio per la storia del riutilizzo. Nel 2009 sulle Lobbie ho trovato una giacca mimetica macinata dal ghiaccio.
E le armi?
Ho trovato due canne di fucile e una pistola lanciarazzi austriaca, completamente consumati. Le baionette sono invece più facili da reperire, magari perché venivano perse in combattimento. E anche questi oggetti sono stati interessati dal riutilizzo. Negli anni venti, chi trovava un fucile lo usava per andare a caccia ed altri oggetti per i lavori agricoli, ad esempio.
Cosa vede nel collezionare questi oggetti?
Adesso si può fare il confronto con la differenza dei materiali tecnici. Sui vestiti, ad esempio la lana che tiene il caldo, ma quando si bagna va asciugata. Si pensa realmente alla sofferenza di queste persone e quindi al modo di vivere. Oltre poter toccare con mano la differenza delle due guerre.
Fare il collezionista così, che significato ha per lei?
Rischiare di prendere una fregata ogni momento. C’è un mercato e una marea di falsi, che rende difficile riconoscere i reperti. Hanno anche un valore, ma spesso viene deciso a seconda dell’interesse del collezionista.