Come possiamo frenare il degrado dell’informazione

A noi non interessa il video in cui una celebre ex attrice di commedie anni Ottanta racconta di come si sia rotta una gamba in vacanza cadendo da un dromedario. Non ci interessa dove va a sciare Chiara Ferragni, né il suo albero di Natale, e nemmeno che l’abito vedo-nonvedo nell’ultima foto di Elodie “è la nuova tendenza dell’autunno” o “attacca con forza gli stereotipi di genere”. A noi che vorremmo, se proprio dobbiamo subire un mondo di infodemia, che fosse perlomeno fatto di analisi politiche, sociali, economiche e culturali di livello, tutto questo non interessa, eppure ci capita addosso se apriamo il sito di qualsiasi giornale, e soprattutto se di un giornale incrociamo la pagina social. Questo non perché decidiamo di seguire volontariamente la tale testata, ma perché l’algoritmo di Facebook o di Instagram, che tiene molto alla nostra informazione, non manca di aggiornarci sulle ultime importanti novità. 

Quasi nessuno si salva, in questa gara al ribasso.

Qui però una serie di studi recenti svela un segreto. Oltre il 90 % del traffico sui profili degli influencer o dei VIP più attivi sui social è causato proprio dalle testate giornalistiche. In pratica, le vite dei personaggi famosi esibite online non verrebbero calcolate quasi da nessuno, tranne dai loro seguaci più accaniti, se non fossero pubblicizzate dai siti di informazione. La quasi totalità delle visualizzazioni e delle interazioni con i profili è quindi merito, o colpa, proprio degli articoli di Repubblica e simili, che portano i lettori, attratti umanamente dal gossip, dagli scandali o da qualche foto provocante, a visionare i contenuti (si definiscono così…) proposti.

Questo ci dice due cose sul livello del giornalismo in Italia. Primo: anche i giornali più seri, pur di ottenere traffico online e visualizzazioni (che significano soldi per le pubblicità) sono sempre più disposti ad abbassare il livello delle notizie.

Secondo: poiché ciò che tiene in tendenza un post o un articolo è il numero di like/dislike e soprattutto di commenti, gli articolisti incoraggiano, con provocazioni evidenti, i commentatori più accaniti, che sono ovviamente quelli che criticano, anche pesantemente. Risultato: le notizie più seguite e poi più virali sono quelle peggiori, o meglio quelle con il maggior numero di commenti accesi; gli utenti che si mettono a commentare spesso sono persone anche molto razionali e serie, mosse dall’impegno sincero di smontare l’articolo facendo sentire la propria versione. Non si rendono però conto di cadere in una trappola.

Proprio qui sta il potere dei lettori online, che è il potere dell’indifferenza.

Quando leggiamo che si possono definire i Maneskin i nuovi Beatles, che l’attrice famosa del momento non accetta il premio nella categoria “Migliore Attrice” perché, in nome della nuovissima rivoluzione dei generi, non si sente né maschio né femmina e quindi è gravemente offesa nell’essere definita “donna”, o altre inutili provocazioni, ricordiamoci di avere in mano un potere, che è quello di non commentare, o addirittura di segnalare il contenuto: “Non mi interessa”. 

Piuttosto, stimolati e ansiosi di dare battaglia, scriviamo un post sul nostro profilo riguardo allo stesso tema, senza però tag o link: così potremo parlare di tutto senza dare visibilità a chi cerca malignamente contributi. C’è qualcuno, infido, che aspetta solo il nostro commento, che sia un insulto (sacrosanto, a volte) o una critica matura. Non diamogli questa soddisfazione. Non facciamo il loro gioco.

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Pubblicato da Alessandro Zanoner

Nato a Trento nel 1993, insegnante di italiano, latino e storia nelle scuole superiori. Suonatore di strada con umili tentativi da cantautore e scrittore. Mi piacciono la montagne e il Mar Tirreno; viaggio con una buona frequenza, soprattutto in centro Italia. Un pomeriggio a Roma una volta all'anno, minimo. Pavese, Moravia ed Hermann Hesse i miei autori preferiti in narrativa. Per la musica De Gregori, Vinicio Capossela, Lucio Battisti e Giovanni Lindo Ferretti.