Il giorno dopo. A Buenos Aires con Mons. Bergoglio

Ogni generazione ha le sue date di riferimento, i suoi eventi conficcati una volta per sempre nel midollo della memoria. Ogni generazione si pone la fatidica domanda: dov’ero il giorno che…? Quando l’Italia è stata liberata. Quando l’uomo è sbarcato sulla Luna. Quando hanno rapito Moro. Quando è caduto il Muro. Oppure, più gioiosamente, quando l’Italia ha vinto i Mondiali (magari quelli dell’82). E così via, e così via. Per quanto riguarda gli ultimi 20 anni, un evento si staglia su tutti: l’attacco alle Twin Towers di New York. E quindi, una data: 11 settembre 2001. Esattamente 20 anni fa. Penso che molti lettori proveranno quello che provo io in questo momento: la sensazione che siano passati in un lampo. Cosa rimane, oggi, di quell’evento, che complessivamente comportò la morte di 2977 persone (compresi gli altri due voli, quello schiantatosi contro il Pentagono, e quello precipitato in Pennsylvania?)? Un memoriale a New York che fa accapponare la pelle. Una guerra in Afghanistan che ha portato sì all’eliminazione di Bin Laden, ma che ora approda alla vittoria finale dei Talebani, nello sconcerto generale.

Rimangono alcuni libri e film non particolarmente riusciti (da L’uomo che cade di Don de Lillo, forse il primo romanzo sul tema, a World Trade Center, il film di Oliver Stone che celebra l’eroismo dei primi pompieri accorsi sul luogo dell’attacco, a Lower Manhattan). Restano in circolazione anche alcune idee complottiste, ed assieme a loro la spiacevole – anzi, scandalosa – consapevolezza che l’amministrazione Bush utilizzò quel tragico evento per la successiva campagna militare in Iraq.

Sì, mai voi dov’eravate 20 anni fa? Dov’eravate quando la notizia ha iniziato a diffondersi? Quando la tv ha iniziato a mostrare le immagini dei Boeing 767 dirottati dai terroristi di Al Qaida che si schiantano prima contro la Torre Sud e poi contro quella Nord? Io me lo ricordo bene, l’ho raccontato tante volte ma – è una mia debolezza – non riesco a trattenermi dal rifarlo. Ero in una remota regione dell’Argentina, chiamata significativamente “El Impenetrable”, nella provincia del Chaco, assieme a una delegazione provinciale in visita ai discendenti degli emigrati trentini. Eravamo appena stati, assieme anche a numerosi giornalisti, in una fattoria isolatissima, nel cuore di questa sterminata foresta arida, di alberi “duri” e arbusti spinosi, e stavamo facendo ritorno alla pista di terra da dove saremmo decollati per rientrare a Resistencia, la capitale della provincia (dove il coro della Sosat stava tenendo alcuni memorabili concerti). Lungo la strada, una linea retta che si perdeva all’orizzonte, ci fermammo a raccogliere degli indios che chiedevano un passaggio. Montarono sul nostro pick up e, fra la polvere e i sobbalzi, iniziarono a spiegarci, in spagnolo, che qualcosa era successo a New York, qualcosa che aveva a che fare con aerei e grattacieli. Arrivati a destinazione, ci fiondammo in una delle poche case che componevano il minuscolo centro abitato sorto vicino alla pista. Aveva la parabola sul tetto. Entrammo. Uomini dallo sguardo altrettanto impenetrabile della foresta che ci circondava stavano guardando le immagini che lo schermo televisivo mandava in loop. Erano quelle delle Torri che crollavano

L’Argentina, all’epoca, se la passava malissimo, e di lì a poco il suo presidente Fernando De La Rua sarebbe fuggito in elicottero dalla Casa Rosada, la sede del governo, per sottrarsi all’ira del popolo. Ma anche lì l’impatto fu molto forte. Il giorno successivo volammo a Buenos Aires. L’allora arcivescovo di Trento mons. Luigi Bressan, che faceva parte della delegazione, si unì all’arcivescovo della capitale argentina per celebrare una messa straordinaria per commemorare le vittime della strage e invocare la pace, sotto all’obelisco di Avenida 9 de Julio, nel cuore della metropoli.L’arcivescovo di Buenos Aires, che era appena stato ordinato cardinale, sarebbe diventato in seguito papa con l’inedito nome di Francesco.

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Pubblicato da Marco Pontoni

Bolzanino di nascita, trentino d’adozione, cittadino del mondo per vocazione. Liceo classico, laurea in Scienze politiche, giornalista dai primi anni 90. Amori dichiarati: letteratura, viaggi, la vita interiore. Ha pubblicato il romanzo "Music Box" e la raccolta di racconti "Vengo via con te", ha vinto il Frontiere Grenzen ed è stato finalista al premio Calvino. Ma il meglio deve ancora venire.