La sindrome della crocerossina

Si sciolgono i ghiacciai, l’inflazione sale, acqua e aria sono inquinate, il cemento si sta mangiando tutto il verde, gli immigrati arrivano e non se ne vogliono più andare, la terza guerra mondiale è alle porte, i ladri ci svaligiano la casa, l’orso e il lupo sono in agguato, l’intelligenza artificiale sta per schiantare l’umanità, si va in pensione sempre più tardi, non c’è lavoro. Più che constatazioni sono avvertimenti, la formalità adempiuta dai sostenitori del celebre detto: “uomo avvisato mezzo salvato”. Viviamo immersi in una nube tossica fatta di ammonimenti, lamentele, moniti, anatemi, strali. A prestarvi fede parrebbe che tutto stia andando in pezzi e che viviamo nel peggiore dei mondi possibili. Eppure, guardando indietro, al Novecento, non è che riporti alla mente poi queste grandi gioie. Senza speculare su Hiroshima e shoah, pensiamo agli anni ‘70, al terrorismo, alle stragi di Stato, a quel che ha combinato l’eroina e domandiamoci: ma siamo sicuri che siamo messi così male?

Che la filosofia dell’allarme che ci tiene con le spalle al muro non sia solo un espediente del potere per tenerci in una condizione di angoscia permanente? Che non stiamo paventando le stesse cose di venti, trenta, quaranta anni fa solo in un contesto storico diverso che ce le fa apparire “diverse”? Che la fine del mondo non sia solamente la fine del “nostro” mondo? In una parola, siamo sicuri di non essere affetti dalla “sindrome della crocerossina”, quella condizione cioè che porta a sentirsi gratificati nel vedere il prossimo “salvo” grazie ai propri sacrifici e al proprio aiuto? Noi che ci riteniamo tanto necessari, insostituibili, altrimenti questi giovani – quando noi vecchi non saremo più in grado di assisterli – manderanno in vacca ogni cosa?

Siamo così certi che, invece, non ci sorprenderanno le tanto bistrattate generazioni di millennials, generazione Z o Alpha? Perché senza di noi il mondo sarà per forza un posto peggiore? Obnubilati dalla tracotanza, nella magnificazione e contemplazione di noi stessi e delle nostre azioni e nell’ipervalutazione delle nostre capacità ed esperienze, crediamo che renderci indispensabili agli occhi degli altri ci consentirà di evitare di essere abbandonati. O dimenticati.

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Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.