Le scarpe rosse di Angela

Angela Rossi e il suo libro

È un grande romanzo familiare che attraversa un cinquantennio di storia italiana, “Saranno rosse le mie scarpe”, libro di esordio di Angela Rossi (Edizioni Albatros), ma indubbiamente è anche molto di più. 

Se quello che l’autrice nata a Trento e naturalizzata romana vuole raccontare al suo lettore è la vicenda della famiglia Cipriani, non bastano che poche pagine per rendersi conto di come le vere protagoniste siano poi di fatto quasi esclusivamente le donne di questo nucleo: una nonna, Alda, una madre, Pina, una figlia, Greta. «È una linea generazionale diretta – spiega la stessa autrice -; sono tre generazioni diverse che si scontrano ma che poi, nel concreto, affondano le radici nella stessa cultura. È un flusso di energie femminili continuo: pur essendoci nella storia anche dei protagonisti maschili, le tre donne sono in primo piano come coloro che gestiscono i vincoli, ma anche coloro che sanno inventare nuove energie laddove non ve ne sono. In quest’ottica – continua – si inserisce quello slancio che tutte e tre hanno, quel processo di liberazione che tutte e tre compiono: Alda lascia il paesino, Pina trova lavoro, Greta insegue il suo sogno di scrittrice». Andando oltre la vicenda di una famiglia che lascia Trento per Gorizia (e poi vi fa ritorno) e andando oltre le dinamiche ovvie e banali di adattamento al nuovo, le liti tra parenti, le visite e le vacanze, i conti da far quadrare, i primi amori e le tappe inevitabili della vita (dal diploma al lutto), Angela Rossi, in questo debutto tardivo arrivato a 57 anni, costruisce allora una grande scatola cinese di non detti e di punti di osservazione. 

In “Saranno rosse le mie scarpe” – scritto durante il lockdown, in un anno sabbatico di distanza dalla propria professione, le risorse umane nelle telecomunicazioni – infatti «si racconta il mestiere di crescere», sintetizza l’autrice. Un mestiere che trova necessariamente un contesto, quello storico, che porta sullo sfondo fatti quali la morte di Aldo Moro o di Pasolini, e necessariamente luogo in famiglia, ma «che è andando oltre quel nucleo operoso e poco attento all’emotività, e facendo i conti con le difficoltà e le ferite del male che si fa pensando di fare del bene, trova la sua massima espressione», chiarisce Rossi. 

Greta, dunque, la cui storia è di fatto quella della stessa Angela. Una storia di abuso disseminata con discrezione, come le briciole di pane di Pollicino, tra giochi d’infanzia ed esplorazioni adolescenziali, la regressione infantile di fronte allo shock, che «per pudore, per orgoglio, e forse anche per negazione, non ho voluto porre al centro del libro – spiega l’autrice. Questa certo è la mia storia (e diventa chiaro da alcuni passaggi, come l’epilogo e i ringraziamenti, ma anche nell’impossibilità di osservare con distacco i dettagli n.d.r.), ma non desidero diventarne io il fulcro: una storia funziona se è universale, e questa storia, allora, può tranquillamente essere solo quella di una donna, della sua consapevolezza, della sua risalita, della sua indipendenza. Può tranquillamente essere la storia di una famiglia, di dinamiche complesse, di relazioni». Pur non desiderando essere protagonista del suo romanzo e pur dichiarando di voler «raccontare che dobbiamo imparare a prendere in mano le situazioni; che l’uomo è figlio di destino e volontà, ma è con la volontà che scegliamo anche quale atteggiamento tenere nei confronti di ciò che è predestinato e non si può cambiare», insomma, è nelle pagine più profondamente vicine e auto-analitiche che sta la forza del libro. 

Angela Rossi a Milano Book City

Lungi dall’essere simbolo di violenza di genere, tuttavia, per Rossi anche le scarpe rosse del titolo, «sono l’originaria immagine di bellezza, di orgogliosa femminilità, di energia: la scarpa è ciò che ci permette di camminare, di essere indipendenti, e il suo colore, il rosso, è la capacità di stare bene nella visibilità e nel protagonismo – chiarisce. Il titolo, che riprende un desiderio di Greta, ma anche, evidentemente, un mio desiderio, è di fatto una promessa». Ma se, grattando la superficie del romanzo familiare, tanti sono i temi che il libro racchiude, complessa è anche la sua struttura narrativa: in un amalgama tra italiano, dialetto trentino e qualche accenno di campano, il racconto si gioca sull’alternarsi della narrazione stessa e di una voce narrante esterna osservante. Una voce fatta coincidere con una vicina di casa goriziana che appassionatamente guarda alla famiglia riflettendo sulle vicende della vita. 

A interrompere il flusso, ancora nella prima metà del libro, alcuni capitoli raccontati dal punto di vista soggettivo delle tre donne, filo conduttore, come si è visto, della storia. A seguire, i racconti scritti per mano di Greta. «Sono racconti che – illustra – servono alla protagonista per prendere coscienza di sé, dei suoi desideri e del suo ruolo, per liberarsi da una famiglia che, pur nell’affetto, è di fatto il primo stadio di socialità e pertanto anche di scontro: sono i parenti stessi a metterle involontariamente i bastoni tra le ruote, insegnandole a superare gli ostacoli».

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Pubblicato da Katia Dell'Eva

Laureata in Arti dello spettacolo prima, e in Giornalismo poi, nel quotidiano si destreggia tra cronaca e comunicazione, sognando d’indossare un Fedora col cartellino “Press” come nelle vecchie pellicole. Ogni volta in cui è possibile, fugge a fantasticare, piangere e ridere nel buio di una sala cinematografica. Spassionati amori: Marcello Mastroianni, la new wave romena e i blockbuster anni ‘80.