Mama, che schechèo!


“Mama, che schechèo! Ho ciapà na stremida che no ghe l’auguro a ‘n can! Stavo vegnendo chì da elo, sior professor, quando zo dreo la legnara è saltà fora n’ombra ziganta, en mostro… Putana che schechèo!” 

“E di cosa si trattava?” 

“Si tratava di un mona!” 

“Di chi?” 

“Del Turo: del Turo dei Smarzoni. Lonch come che l’è, el s’era butà adoss na vecia pelicia scura tuta tarmada (chissà endó che el’lha binada..) e el m’hà urlà adoss”.

“E tu che cosa hai fatto?” 

Ma set mona?!, g’ho dit dopo che me son riméss dal schechèo”.

“E lui?” 

“Elo el m’ha dit: A carnevale ogni scherzo vale. Ma diséme voi se l’è scherzi da far: roba che te va el sangue en aqua…”.

”La madre degli stupidi è sempre incinta!”

”A proposit, da endó vègnela la parola: schechèo, professor?” 

“Fammici pensare… No, non mi viene in mente niente. Mi sa che sia di quelle parole artificiali, che si inventano per esempio, per poter parlare coi bambini. Che si inventavano, per lo meno: come tololò, ad esempio. Io preferisco – se devo usare una parola dialettale, come mi piace fare ogni tanto – usare il termine smariment, per la pluralità dei suoi valori semantici”.

“El parla pu semplize, professor!” 

“Hai ragione. Volevo dire che smarrimento esiste anche nel linguaggio nazionale, ma usato anche con altri significati: che indicano una perdita, sia in senso astratto che concreto: smarrimento dei sensi, della memoria, di un sentimento, di un oggetto… Nel dialetto, ad esempio, si definisce smarì un oggetto, un indumento, una stoffa, che abbiano perso il loro colori. Ma si può usare anche parlando di una persona. L’era lì tut smarì, si dice di individuo che per lo spavento è divenuto pallido, incolore…”.

“E stremida enveze da endó vègnelo?” 

“Ha la stessa radice del verbo tremare, tremare di paura…”.

“Sì, come tremavo mi dopo el scherzo del Turo…”.

“Davvero hai tremato?” 

“Zerto, averìa volù véderlo elo, sior professor, con tut el rispeto: l’era not fonda – e zo ala legnara no g’hè nessun lampion – el Turo l‘è lonch come l’an dela fam. El fa spavento, sacramento! La pelicia nera che ‘l s’era butà sula schena l’era na pelicia nera, na pelicia vera. El m’ha stormenì quando che ‘l m’ha urlà en te le rece! Va bene, va bene, ho capito! Bevi questo grappino ANTISTREMIZ. L’ho enventà mì”.

renzofrancescotti@libero.it

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Pubblicato da Renzo Francescotti

Autore trentino dai molti interessi e registri letterari. Ha al suo attivo oltre cinquanta libri di narrativa, saggistica, poesia in dialetto e in italiano. È considerato dalla critica uno dei maggiori poeti dialettali italiani, presente nelle antologie della Garzanti: Poesia dialettale dal Rinascimento a oggi (1991) e Il pensiero dominante (2001), oltre che in antologie straniere. Sue opere sono tradotte in Messico, Stati Uniti e in Romania. Come narratore, ha pubblicato sei romanzi: Il Battaglione Gherlenda (Paravia, Torino 1966 e Stella, Rovereto 2003); La luna annega nel Volga (Temi, Trento 1987); Il biplano (Publiprint, Trento 1991); Ghibli (Curcu & Genovese, Trento 1996); Talambar (LoGisma, Firenze 2000); Lo spazzacamino e il Duce (LoGisma, Firenze 2006). Per Curcu Genovese ha pubblicato Racconti dal Trentino (2011); La luna annega nel Volga (2014), I racconti del Monte Bondone (2016), Un Pierino trentino (2017). Hanno scritto prefazioni e recensioni sui suoi libri: Giorgio Bàrberi Squarotti, Tullio De Mauro, Cesare Vivaldi, Giacinto Spagnoletti, Raffaele De Grada, Paolo Ruffilli, Isabella Bossi Fedrigotti, Franco Loi, Paolo Pagliaro e molti altri.