Montagna felix?

UNA gita in montagna. La sostenibilità ambientale della montagna è a rischio a causa del clima, del consumo di suolo e di un turismo di massa che in certi periodi crea seri problemi di vivibilità alle stazioni alpine ed il dibattito sulle soluzioni è apertissimo, ma quantomai impopolare per la politica, questa invasione infatti produce appetiti e aspettative sempre crescenti e i montanari vogliono tenersi strette le loro fortune economiche. 

La montagna felix sta scomparendo dai radar degli scrittori? “Viva la montagna felix” direbbero i francesi. 

Nell’ultimo decennio, grazie ad una produzione letteraria e cinematografica ridondanti, vedi numerosi libri di Mauro Corona, fino al boom di vendite de “Le otto montagne” di Paolo Cognetti (Einaudi pag. 200, 2018) la narrativa e le immagini hanno evocato sentimenti e passioni intrecciati tra cime, baite, laghetti e l’immaginario collettivo si è voracemente nutrito dell’idea di una montagna- wilderness, salvifica, rigenerante, incontaminata e dunque felice. 

La ritrovata fascinazione nei confronti delle Terre Alte ha peraltro anche ragioni oggettive riconducibili a contesti urbani sempre più caotici, compressi e flagellati da emissioni e siccità. 

Il dato, dunque, parla di un rilancio della montagna di proporzioni inusitate, alimentato da un marketing ammiccante, quanto pervasivo. Negli ultimi due anni, se possibile, l’impatto è stato anche maggiore, dovuto alla riconquistata possibilità di viaggiare nel post Covid, con il contestuale ritorno del mercato estero, il tutto ottemperando “religiosamente” alla seduzione generata da un selfie in cima a un crozzo, abbracciati a un albero, o davanti a un rifugio alpino con una birra in mano

Un fenomeno di tendenza, dunque, ma con forti motivazioni legate al cambiamento climatico, il vulnus sta nel fatto che, a fronte di un’economia turistica in piena salute, l’impatto sull’ambiente alpino è stato ragguardevole. 

Impianti di risalita sempre più affollati e costretti ad usare neve artificiale

La sostenibilità ambientale della montagna è a rischio a causa del clima, del consumo di suolo e di un turismo di massa che in certi periodi crea seri problemi di vivibilità alle stazioni alpine ed il dibattito sulle soluzioni è apertissimo, ma quantomai impopolare per la politica, questa invasione infatti produce appetiti e aspettative sempre crescenti e i montanari vogliono tenersi strette le loro fortune economiche. Sui cambiamenti climatici, ad esempio (un aspetto cardine della fragilità delle aree alpine) c’è un diffuso, anche se poco manifesto, negazionismo: “Si vabbè – ripetono in coro impiantisti e portatori di interessi locali – ma ci sono sempre stati”). 

Che le risorse non siano infinite lo dice la scienza, che l’acqua, un tempo copioso dono dei ghiacciai, sia sempre meno è sotto gli occhi di tutti, che guerre, inflazione, difficoltà di approvvigionamenti energetici, carenze idriche nei rifugi alpini e per l’innevamento siano un problema è assodato. I periodi dello sci saranno sempre più ridotti, ma sempre più affollati, perché parliamoci chiaro: aldilà della poesia dei boschi e delle cime, oggi tutta l’economia della montagna ruota ancora attorno all’industria dello sci! 

L’ingorgo di Port’Aquila a Trento è oramai un vero e proprio incubo giornaliero per moltissimi pendolari
Bella la scenografia di Piazza Dante a Trento, durante le Festività, con la ruota panoramica e la statua del Poeta a confronto. Ma siamo sicuri che non assomigli un po’ troppo alla brutta copia di un vero luna park?!

E dunque “la montagna felix” cesserà di essere raccontata come felice connubio tra ambienti naturali elegiaci e nobili sentimenti? Indulgeremo al noir, o addirittura al pulp? Certamente non cambierà nulla per il popolo dei vacanzieri, loro continueranno a salire, a godersi un divertimentificio sempre più spinto, magari anche trasferendosi in pianta stabile per cercare refrigerio dai climi torridi delle metropoli. 

Ed ecco allora che, al di là del grido d’allarme di una strenua pattuglia degli ambientalisti, che da anni denunciano il limite ormai superato in termini di infrastrutturazione degli ambienti alpini, anche la letteratura di montagna cambia connotati. 

E se è nell’ordine delle cose che intellettuali quali Marco Albino Ferrari, con “Assalto alle Alpi” (Einaudi ed. 144 pag.), o Michele Nardelli e Maurizio Dematteis con “Inverno liquido, la crisi climatica, le terre alte e la fine della stagione dello sci di massa” (Feltrinelli ed. 304 pag.), stiano segnando una linea di demarcazione, forse da un autore di romanzi come Paolo Cognetti un cambio di sguardo sulla montagna così netto, proprio non ce lo aspettavamo. 

La montagna felix nell’ultimo romanzo di Paolo Cognetti, dal titolo “Giù nella valle”, sempre per i tipi di Einaudi, proprio non c’è, sparita, disciolta, quasi rinnegata

Che cosa è capitato quindi al pluripremiato autore di narrativa classica de “La felicità del lupo”, e “Senza mai arrivare in cima”, considerato l’erede di Mario Rigoni Stern? Ha voluto disfarsi dei panni di questa ingombrante eredità per creare, attraverso uno stile diverso, un caso letterario? Ha realizzato la trasposizione in formula narrativa di tante prese di posizione contro lo sfruttamento della montagna? 

Difficile dirlo, sta di fatto che in un romanzo breve Cognetti ha condensato gli aspetti più crudi e segnatamente più degradati di un fondovalle alpino, la Valsesia, tanto da suscitare la reazione indignata delle comunità montane locali. 

Una presa di posizione discutibile, peraltro, come se la cronaca, o la narrativa, dovessero in qualche modo obbedire al marketing. Fin dai tempi di Arthur Conan Doyle autori e autrici hanno inventato ogni sorta di serial killer e assassini, senza che le comunità londinesi, o di altri luoghi si sentissero in qualche modo offesi. 

Quando però c’è di mezzo il turismo l’altolà non manca mai, che si tratti di cronaca, o di letteratura, se poi, come nel libro, si parla di 5.000 alberi da abbattere per realizzare una pista da sci, apriti o cielo… non importa se le vicende sono ambientate negli anni Novanta del secolo scorso. 

In diverse interviste Cognetti ha dato qualche ragguaglio su questo suo cambio di paradigma, senza mai forzare la mano su un preciso intento di denuncia, ma il cambio di stile e di visuale impattano e non poco. 

In realtà nella postfazione Cognetti ci lancia una scialuppa di salvataggio spiegando che tutto parte da una reminiscenza musicale legata all’album Nebraska di Bruce Springsteen e dalle atmosfere legate alla letteratura americana anni 60, quasi a voler contestualizzare quelle pagine di cani randagi, valligiani bruciati dall’alcol e annegati nell’isolamento di una valle punteggiata da discariche e cementifici. Ciò non di meno emerge tutta la tristezza dello sguardo verso una montagna dalla quale l’autore pare quasi sentirsi tradito, o forse deluso. 

Non è dato sapere perché solo ora egli dichiara di non ritenersi uno scrittore di montagna, ma di fatto con “Giù nella valle” ha segnato uno spartiacque narrativo e stilistico. Non che non siano mai stati scritti romanzi cupi, o noir ambientati in montagna, ma forse non da un assiduo frequentatore degli alpeggi della Val d’Aosta, dai quali fin da bambino era così attratto da eleggerli in età adulta a propria residenza stabile, creando un rifugio culturale, sede di un festival di arte, libri e musica dal titolo “Il richiamo della foresta” …Ça va sans dire.

Stiamo plasmando le montagne a uso e consumo del turista. Il paradosso è che negli anni ’60 il turismo ha salvato le alpi dallo spopolamento, offrendo un’attività remunerativa sul posto ai residenti. Oggi siamo all’opposto: dove c’è grande pressione turistica le valli si spopolano. Questo accade perché i prezzi si alzano e chi vive del proprio lavoro non riesce a permettersi l’affitto, la casa e la vita in generale. Secondo me parte di questo boom turistico è frutto di una concezione idilliaca della montagna, rappresentata sempre sotto gli stessi stereotipi

marco albino ferrari, 12 agosto 2023

Quella casa tra gli alberi, oltre l’alcol

Un padre ha piantato due alberi davanti alla sua casa, uno per ogni figlio. Il primo, un larice, è Luigi, duro e fragile, che in trentasette anni non se n’è mai andato dalla valle. Lui e Betta si sono innamorati facendo il bagno nelle pozze del fiume, tra le betulle bianche: ora non succede piú cosí di frequente, ma aspettano una bambina e nell’aria si sente il profumo di un nuovo inizio. Lui ha appena accettato un lavoro da forestale, lei viene dalla città e legge Karen Blixen. L’altro albero è un abete: Alfredo è il figlio minore, ombroso e resistente al gelo, irrequieto e attaccabrighe. Per non fare più guai hanno scelto di scappare lontano, in Canada, tra gli indiani tristi e i pozzi di petrolio. Ma adesso è tornato. Alfredo e Luigi in comune hanno due cose. La prima sta in un bicchiere: bere senza sosta per giorni, crollare addormentati e riprendere il mattino dopo, un bianco, una birra, un whisky e avanti ancora un altro giro, bere al bancone dove si scommette se l’animale che uccide i cani lungo gli argini sia un lupo, un cane impazzito o  chissà cosa. Oltre all’alcol però c’è la casa davanti a quei due alberi. Adesso che il padre se n’è andato, Alfredo è tornato in valle per liberarsi dei legami rimasti: lui non lo sa, ma quella stamberga da un giorno all’altro potrebbe valere una fortuna.

Paolo Cognetti, “Giù nella valle” (Einaudi ed. 128 pag, € 20)

Paolo Cognetti
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Pubblicato da Elena Baiguera Beltrami

Le voci e i volti di montagna sono il pane e il companatico, letteratura, scrittura e ambiente alpino orizzonti di esplorazione fisica e mentale. Giornalista e autrice ha scritto il romanzo “Corrispondenze” (Albatros ed.), vive e respira comunicando e condividendo, passioni, riflessioni e testimonianze.