Neve: fino a quando?

Marmolada: quel che rimane del ghiacciaio nell’immagine scattata dalla cresta ovest nel settembre 2023 (@credit P. Ghinassi)

“Il cambiamento climatico, causato da emissioni climalteranti è già in atto e sta modificando l’assetto del pianeta e la vita delle persone. 

Inutile girarci attorno, ormai la comunità scientifica è pressoché unanime, gli unici rimasti a sottostimare previsioni ormai certificate sono paesi dell’OPEC, i maggiori esportatori di petroli, come abbiamo appreso durante la recente Coop 28 di Dubai.

Il Trentino è a ridosso della catena alpina, e dunque noi lo vediamo ogni giorno, i segnali sono chiarissimi, ma la domanda, oltremodo ansiogena, aldilà degli accordi internazionali, è sempre la stessa: che cosa possiamo fare noi ora, nel nostro piccolo, come poterci organizzare per far fronte a scenari così incerti e lontani dalle nostre consuetudini?

Rispetto al ristretto ambito dei confini del Trentino, ad esempio che cosa dovranno sapere gli operatori del settore montagna sull’impatto che questa fase climatica potrà avere sulle loro attività, per poter pianificare investimenti, delineare prospettive e in generale avere un quadro che per i prossimi vent’anni – trent’anni permetta di fare scelte consapevoli?

A fornire un quadro climatico il più possibile circoscritto al nostro territorio ci ha provato lo scorso 10 novembre un seminario a Madonna di Campiglio dal titolo “Cambiamento climatico: dove stiamo andando, il futuro sulle Alpi e sulle Dolomiti di Brenta”, organizzato, con il patrocinio dell’associazione albergatori locale, dal professor Matteo Maturi, albergatore e ordinario di cosmologia astrofisica e relatività generale presso l’Università di Haidelberg e condotto dal dottor Paolo Ghinassi, ricercatore di Scienze dell’atmosfera e del clima presso l’ISAC_CNR, esperto di climatologia e dinamica del clima.

Ghinassi in volo sull’Islanda per una campagna di misurazioni climatiche

Il ricercatore bolognese al CNR durante  il suo lavoro di “modellista” climatico

Con una efficace sventagliata di slide il giovane preparatissimo post-doc Paolo Ghinassi ci racconta che in Trentino le temperature sono aumentate di circa +2 gradi dalla fine degli anni ‘70 ad oggi ed il tasso di riscaldamento osservato dagli anni 70 ad oggi è di circa +0.5 gradi ogni 10 anni. Per quanto riguarda le precipitazioni si é osservato, nella nostra provincia, un incremento durante la stagione autunnale ed invernale, ma che unito al riscaldamento non si traduce automaticamente in un aumento delle precipitazioni nevose. Infatti, la tendenza di diminuzione delle precipitazioni nevose (in centimetri di neve per decade), osservato dagli anni 80 ad oggi, arriva fino ad un – 10% alle basse e medie quote in dicembre e ad un – 15% a tutte le quote ad aprile. Tutto ciò implica un accorciamento del periodo potenzialmente sciabile con neve naturale. I mesi centrali dell’inverno per ora non mostrano tendenze significative, ma se continuiamo con gli attuali tassi di riscaldamento, la situazione é destinata ben presto a cambiare.

Dove siamo ora a livello globale?

Il 2023 molto probabilmente chiuderà come l’anno più caldo da quando esistono le misurazioni. Gli otto dei dieci anni più caldi a livello globale da quando esistono le misurazioni/serie storiche si sono verificati dopo il 2015. 

Il grafico sulle misurazioni del ghiacciaio della Marmolada (fonte Meteotrentino)

A livello globale la temperatura é aumentata di +1.3 gradi dai livelli preindustriali (1850). In Europa l’aumento è stato di + 2 gradi (l’Europa si riscalda a un tasso maggiore rispetto al resto del pianeta).

I tre scenari che i sofisticati ed altamente attendibili modelli climatici hanno certificato corrispondono a tre sigle scientifiche precise: RCP 2.6, RCP 4.5, RCP8.5, ognuna delle quali disegna il futuro, con un minimino margine di errore.

Scenario RCP2.6: viene attuata una drastica riduzione delle emissioni per contenere il riscaldamento entro +1.5 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Attualmente irrealistico, significherebbe azzerare completamente le emissioni entro il 2030!!!). Sarebbe l’unico scenario che permetterebbe la continuazione della stagione sciistica con qualche differenza rispetto ad ora (circa +1 grado di riscaldamento nel periodo 2070-2100 rispetto al periodo 1980-2010). Il calo dell’accumulo nevoso e dello spessore del manto nevoso sarebbe sicuramente significativo, -10% sotto i 2000 metri, ma non sarebbe drammatico tanto da compromettere la stagione sciistica (ad es. potrebbe venire compensato dall’innevamento artificiale senza un dispendio folle di risorse idriche ed energetiche). Da sottolineare che comunque i costi per l’innevamento artificiale aumenteranno e la sostenibilità diminuirebbe comunque: della serie si può continuare a sciare ma l’uomo deve metterci mano modificando l’ambiente e la cosa non sarà a impatto ambientale zero. 

Scenario RCP 4.5: Aumento delle temperature invernali di circa +2 gradi sulle Alpi e riduzione del manto nevoso totale dal -30-50% sotto i 2000 metri.

Scenario RCP8.5: Aumento delle temperature invernali fino a +4 gradi sulle Alpi nel 2100 e riduzione di oltre il 60% del manto nevoso totale sotto i 2000 metri e del 40% sopra i 2000 metri. A 2000 metri si avranno circa 30 giorni con suolo innevato in tutta la stagione (contro i circa 120 del periodo 1980-2010).

Attualmente viaggiamo tra lo scenario 4.5 e l’8.5 il che significa che se continuiamo così tra molto meno di 50 anni sarà impossibile sciare sulle Dolomiti.

Mancano dunque un paio di decenni all’allarme rosso, è ancora dunque ragionevole inseguire pervicacemente la monocultura dello sci? Oppure è giunto il momento di procedere con lo sguardo proiettato in avanti, invece che insistere nell’inseguire modelli di sviluppo anacronistici e senza futuro?

Non già ai posteri, ma agli attuali decisori politici e ai portatori di interessi l’ardua sentenza!

Proiezioni del manto nevoso sulle Alpi nei tre scenari RCP 2.6, RCP 4.5, RCP8.5 (Fonte: Kotlarski et. al 2022)

La proposta

Un altro tipo di turismo invernale è ipotizzabile rispetto alla situazione attuale, quando tutti vogliono piste perfette, innevate e tirate a lucido e tutto ció è possibile solo grazie all’innevamento artificiale, o programmato che dir si voglia,  e alla battitura con i mezzi battipista? Perchè non valutare  se esiste anche la possibilitá di destinare alcune aree dei comprensori per il freeride o scialpinismo? In questo modo si potrebbero diminuire enormemente i costi per l’innevamento e il mantenimento del manto nevoso. Sicuramente si perderebbe una parte  di clientela, ma al momento nessuno è in grado di quantificare il guadagno su una consistente fetta di potenziali escursionisti, scialpinisti e ciaspolatori, che potrebbe riservare sorprese inaspettatamente positive.

back of a female tourist on a hike in the mountains in winter
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Pubblicato da Elena Baiguera Beltrami

Le voci e i volti di montagna sono il pane e il companatico, letteratura, scrittura e ambiente alpino orizzonti di esplorazione fisica e mentale. Giornalista e autrice ha scritto il romanzo “Corrispondenze” (Albatros ed.), vive e respira comunicando e condividendo, passioni, riflessioni e testimonianze.