Pietro Cappelletti: con la stessa passione di nonno Silvio

La fotografia, una passione che attraversa le generazioni e aggancia attitudini e ricordi per trasformarsi in un’esigenza espressiva, poi diventata mestiere.

Pietro Cappelletti è il nipote di Silvio Pedrotti, molto noto assieme ai fratelli per aver aperto nel 1929 uno studio in Via Roggia Grande a Trento oltre che fondatore e direttore per oltre cinquant’anni del coro della SAT. La loro fama in campo fotografico procede all’unisono con quella nel campo delle corali alpine e con la passione per la montagna. Genere che diventa, oltre al ritratto, il linguaggio fotografico prediletto del loro lavoro.

Incontro Pietro nella sua bella casa di famiglia, luogo che nel corso degli anni ha accolto anche molti ospiti illustri del panorama artistico e musicale internazionale. Qui l’ospitalità è sempre stata un valore, un trattamento di pregevole cura.

Qual è il tuo primo ricordo legato alla fotografia?

Chiaramente il nonno fin da piccoli faceva a mio fratello e a me molte fotografie, arrivando quasi a infastidirci per il continuo coinvolgimento. Ma non si limitava a scattare, spesso faceva delle considerazioni sulla luce, ci faceva notare come anche le ombre dessero valore a uno scorcio o a una particolare situazione. Poi da adolescente ho iniziato ad usare le macchine fotografiche  analogiche di cui potevo disporre (reflex 35 millimetri) soprattutto nelle gite in montagna. Facevo diapositive, che costava meno sviluppare, che poi guardavamo tutti insieme in famiglia.

Il tempo passa e scopri di voler approfondire questa passione…

Nel 2004 acquisto una Nikon Coolpix 8700 con cui inizio ad addentrarmi nel mondo della fotografia digitale studiando come funzionano i software di postproduzione, assimilando le differenze rispetto alla fotografia analogica con il suo sviluppo a colori. Qualche anno dopo apro partita Iva e inizio a fare servizi professionali  rivolti soprattutto al mondo della musica e dei concerti dal vivo.

Diventando lavoro, impiego la fotografia anche per soddisfare richieste su commissione che spaziano dall’ambito sportivo passando per quello ricettivo fino ai servizi per matrimoni. Ma la mia peculiarità si esprime al meglio nei servizi per concerti, spettacoli anche in teatro, musica in generale.

Sicuramente la musica è un’altra tua passione molto forte. Come riesci a convergerla con la fotografia?

Per una persona che suona, ascoltando i pezzi di un concerto viene naturale seguire i movimenti degli interpreti e della gente nel pubblico e cogliere così i momenti salienti da immortalare. La poca illuminazione e i soggetti che non hanno una posa statica possono creare qualche difficoltà, ma io mi calo nell’atmosfera e questo mi permette di fermare l’attimo, cogliendone la sua bellezza.

Ma l’ambito musicale non è il solo in cui ti cimenti…

Amo andare in montagna e amo fotografare quando sono lassù, è un’esigenza oltre che un piacere che penso di aver ereditato dal nonno. Mi riempio gli occhi di viste paesaggistiche e dettagli naturalistici. Poi cerco di raccontare l’impatto attraverso la fotografia, anche avvalendomi di lavoro in post produzione. La macchina digitale realizza delle immagini “flat”, piane, che non restituiscono la tridimensionalità oggettiva e poderosa, ad esempio di un paesaggio alpino. A me non interessa riprodurre la realtà quanto più interpretarla con il mio sguardo e la mia sensibilità.

E un’altra cosa molto importante per me è scattare “con parsimonia”. Ho imparato con la macchina analogica a osservare molto bene ciò che mi attira, a provare l’inquadratura e cercare di cogliere in pochi click la scena desiderata. Senza sprechi.

E poi c’è il mondo dei ritratti, com’è la tua esperienza?

Per lavoro mi capita di fare ritratti, utilizzo vari tipi di sfondi e flash adatti per quelli statici, primi piani realizzati in studio. Diverso è per i ritratti più dinamici, cogliere le espressioni e il coinvolgimento emotivo in ambito teatrale e musicale è sicuramente una sfida. A me in particolare piace immortalare gli occhi, gli sguardi che sono i primi a trasmettere la carica emozionale del momento. Assieme agli attimi sospesi, un respiro tra una nota e l’altra, un impercettibile cambio di posizione. I dettagli, gli spazi apparentemente vuoti, mi attirano quelli.

Nella nostra società così votata alla velocità e all’apparenza, qual è la tua opinione riguardo al ruolo della fotografia in particolare rispetto ai ritratti? 

Il vero problema non credo sia il fatto che adesso con smartphone e altri dispositivi tecnologici sia molto alla portata fare  migliaia di foto, ma come questo stia facendo perdere il valore di essere fotografati. Soprattutto nei giovani l’approccio a uno scatto è già influenzato da pose tipiche dei selfie, gli autoscatti, per dirla con un termine ormai desueto. L’utilizzo di filtri e di espressioni standardizzate falsano la realtà. Non sono contro la tecnologia, anzi, ma credo sia importante ritornare ad un gusto autentico per la qualità.

Per quanto riguarda la mia esperienza di shooting, le sessioni fotografiche realizzate in studio, ho notato come sia sempre più diffuso concedersi l’esperienza di farsi fare degli scatti professionali, per gli usi più disparati, spesso finalizzati ad apparire su social network e piattaforme online. Mi piace evitare le pose per provare a cogliere i movimenti e gli atteggiamenti più spontanei, sguardi rubati alla normalità che ne racchiudono l’essenza.

Quando scatti a cosa pensi? 

Generalmente mi godo il momento, mi concentro sulla scelta dell’inquadratura. In un secondo tempo, dopo aver selezionato le immagini migliori cerco di evidenziare l’emozione portante sia essa morbida o più drammatica, dipende dal ricordo che ne ho.

E in futuro cosa vorresti fare? 

Sto cercando di organizzare un progetto fotografico con un filo conduttore e una meta specifica. Per ora sto raccogliendo le idee e nel dubbio ho rinnovato il passaporto. Vorrei fare un’esperienza immersiva che mi permetta di esplorare ambiti culturali, ambientali e umani, una sfida lavorativa, ma anche artistica.

Finiamo la nostra chiacchierata con una domanda in stile marzulliano: per te la macchina fotografica è uno strumento o sei tu lo strumento della macchina fotografica?

Io sono un appassionato anche della tecnologia e di tutto l’apparato tecnico che sta dietro. Conoscere l’hardware (le caratteristiche della macchina, gli obiettivi, come funzionano i sensori…) mi permette di sentirlo come un prolungamento di me e quindi padroneggiare in velocità ogni aspetto. Una bella foto, per chi la fa, è quella che rispecchia il modo in cui era stata pensata a monte. La macchina fotografica è uno strumento a cui mi dedico anche come componente fisico.

Il nonno Silvio quando parlava del suo ruolo fotografico diceva di essere un artigiano non un artista. Io mi ritrovo molto in questa sua affermazione, sento di dover conoscere bene gli strumenti del mestiere per seguire al meglio tutto il flusso di lavoro, dalla ripresa fino alla stampa.  

Le altre considerazioni le lascio a chi vorrà concedere uno sguardo a quello che faccio…

Silvio Pedrotti

Fondatore del Coro della SAT, insieme ai fratelli Enrico, Mario e Aldo, e direttore dello stesso per oltre 50 anni, cultore del canto popolare, fotografo e alpinista, Silvio Pedrotti (Trento, 1909-1999) è stata una delle figure più significative nella storia trentina del ‘900 e personalità di riferimento per il canto corale a livello internazionale. Nel corso della carriera, ha raccolto in un archivio personale molti dei materiali legati alla sua attività di maestro del Coro della SAT.

I fratelli Pedrotti. Al centro, Silvio
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Pubblicato da Mariavittoria Keller

Ha un’innata passione per la scrittura che cerca di declinare sia dal punto di vista professionale (ideazione di testi promozionali, contenuti web, corsi creativi) che artistico (performance mulltimediali, esposizioni, reading…) conciliandola con tutto ciò che è espressione dell’animo umano. Non ama parlare di sé se non attraverso quello che scrive: “Mi sono sempre descritta come una persona fragile. Timida, silenziosa, sognatrice. Un'osservatrice attenta della realtà e una appassionata visitatrice di sogni. Scrivo per provare a fermare in un attimo le emozioni, per riviverle, per regalarle a chi avrà la cura di dedicarci uno sguardo. Perchè credo fortemente che il valore delle cose sia svelato nei dettagli e nel tempo che sappiamo concedere. Così mi incaglio spesso nei giorni, troppo veloci e spesso disattenti verso chi preferisce stare in disparte. Amo la natura selvaggia, libera, perchè sento di esserlo anch'io. Gusto le cose semplici, che sorridono, che condivido con poche, pochissime preziose persone. Credo nell'Amore come sentimento Universale, anche se ho ancora qualche difficoltà con il sentimento, quando mi guarda. Amo il raccoglimento, la lettura e la musica, non ho paura della solitudine quando non è imposta, ma è una scelta. Vivo imparando, non dimenticando che la felicità è negli occhi di chi guarda”. Info: vikyx79@gmail.com