Tenuta San Leonardo: l’arte di imbottigliare un’esperienza

Innanzitutto, il posto. La tenuta San Leonardo di Avio avvicina molto la mente al concetto di “genius loci”, così come lo intendeva l’architetto norvegese Christian Norberg-Schulz, il quale scriveva che sono i significati radunati dal luogo costituire il suo Genius Loci. Proprio come l’uomo, anche un luogo ha un “carattere” e una “storia”. Ebbene, sul confine tra Trentino e Veneto, in questa sorta di Eden rurale istruito al lavoro della terra e all’amore per i frutti che essa sa regalare mediante il sapiente lavoro, qui tutto ciò si percepisce molto bene. Lo confido al Marchese Anselmo Guerrieri Gonzaga che mi accoglie con grande disponibilità e con sincero desiderio di trasmettere la sua esperienza di produttore vitivinicolo, nonché curatore di quel libro aperto che la Tenuta in cui si produce la celebre etichetta di fatto rappresenta.

Il Marchese Carlo, il suo illustre padre, si sta godendo il meritato riposo dopo decenni di intenso lavoro. “Chiamarlo consulente” lo trovo sminuente – mi corregge Anselmo – lui rimane il proprietario, nonché un fermo punto di riferimento. In più, si sta dedicando anima e corpo alla sua nuova creatura: il Parco Guerrieri Gonzaga di Villa Lagarina: un’oasi verde tutta da scoprire”. Ne riparleremo.

I Marchesi Carlo e Anselmo posano con i loro “tesori”

Ma da dove cominciare, allora? Dal vino, ovviamente. Tutto a San Leonardo è intrecciato bene o male con la vite. È la sua stessa storia che ne è intrisa.  

“Da sette anni a questa parte abbiamo fatto grosse innovazioni, per implementare ulteriormente la qualità”. Il 2015 è stata la prima annata a regime biologico. Un vera progressione culturale, per la quale il Marchese ci tiene a ringraziare ancora una volta il “collega” Marcello Lunelli, delle Cantine Ferrari. “Tutelare l’ambiente è diventato un imperativo. Una sostenibilità, la nostra, che è uno dei tre pilastri su cui San Leonardo si regge, assieme al sociale e all’economico”.

Il pilastro sociale ha i volti dei numerosi lavoranti, discendenti di famiglie che “vantano” almeno un secolo di frequentazione. “Vantano”, sì. Anselmo Guerrieri Gonzaga fa ben comprendere questo attaccamento all’azienda. Ma più che azienda, si dovrebbe trovare un qualche neologismo ad illustrare questa comunità unica nel suo genere, dove i dipendenti abitano e interagiscono direttamente con la gestione aziendale. Un attaccamento esemplare che si coniuga anche nei risultati. E qui veniamo al secondo pilastro: dal punto di vista economico l’azienda è florida. Terzo: la sostenibilità ambientale che – si badi – non è certo una novità, dacché già qualche lustro addietro si era provveduto saggiamente ad eliminare in toto gli erbicidi. Oggi l’opera è completata da macchinari avveniristici che riducono al massimo l’impatto ambientale.

Non siamo i padroni di questo posto, ma i custodi. Dobbiamo pensare di lasciare il mondo meglio di come lo abbiamo trovato, non dimentichiamolo.” Le generazioni precedenti hanno fatto molti errori? “Io direi piuttosto che erano ignare di quel che avrebbe generato un determinato comportamento. Adesso dobbiamo rimediare”. L’aspettativa, mi pare di capire, però, è quella di operare in tal senso e generare un’economia circolare con benefici generalizzati.

A questo punto Anselmo ci fa subito visitare la Tenuta. Cominciamo dalla cantina. Un locale molto alto, scavato sotto il giardino, immerso nella penombra. Ma, sorpresa!, codesta non è che l’anticamera della cantina vera e propria, la barricaia, cui accediamo attraverso una parete-scaffale scorrevole e dalla cui imponenza mi lascio volentieri ammaliare, coadiuvato da canti gregoriani che mi pare di sentire in sottofondo (dopotutto siamo pur sempre tra le mura di un antico monastero!).

I vini rossi rimangono il cuore della produzione. Sette nuovi ettari saranno presto disponibili grazie ad attente bonifiche. È cominciata anche una nuova avventura con le bollicine: in collaborazione con la famiglia Togn di Roveré della Luna è nato il Trentodoc “Marchesi Guerrieri Gonzaga”, un 100% Chardonnay che allarga l’offerta in una direzione inedita (arriveranno a breve le riserve di 60 e, udite udite, 100 mesi!). Marchese, come mai questa decisione? “Perché ci è parso il momento giusto. L’Istituto Trentodoc sta facendo un lavoro egregio, soprattutto grazie al suo direttore, Enrico Zanoni, che io apprezzo molto, e alla stessa famiglia Lunelli che ha approvato il progetto fin dall’inizio”.

I Marchesi Anselmo e Carlo Guerrieri Gonzaga, discorrono con il direttore Luigi Tinelli

La produzione del vino a San Leonardo comincia alla fine del XVIII secolo, per conto della Corte Imperiale di Vienna e arriva fino ad oggi con l’opera di Carlo Guerrieri Gonzaga, primo vero “tecnico” della famiglia.

Suo figlio Anselmo, invece, ha sempre vissuto il mestiere di vignaiolo con un respiro di spessore internazionale che d’altra parte è la cifra stessa della sua famiglia. Perché oltre a produrlo il vino bisogna saperlo comunicare… “Sì, tanti pensano che basti fare un buon prodotto, ma non è così”.

Però in un momento di crisi accade, paradossalmente, che l’appassionato cerchi la qualità, rifugiandosi sotto l’ombrello produttivo di un  marchio conosciuto e riconoscibile. Forse è per questo che San Leonardo nel 2021 ha registrato una crescita del 138%, con vendite il 67 diversi paesi. “Gli inglesi la chiamano Consistency: continuità qualitativa, costanza, strategia commerciale coerente, comunicazione, ecc.”. Nessun aspetto va trascurato. Per dirne una, l’enologo che segue San Leonardo risponde al nome di Carlo Ferrini. Fiorentino, classe 1954, per molti il migliore al mondo nella sua professione.

Il borgo

C’è un grande ritratto di Anselmo Guerrieri Gonzaga (nonno), all’ingresso del Museo di attrezzi e utensili agricoli che nel corso di almeno un secolo sono stati adoperati nella Tenuta ed ora fanno bella mostra di sé in questo ex fienile, perfettamente puliti, restaurati e catalogati, come avviene nel più efficiente dei musei etnografici. Gli attrezzi sono innumerevoli. Ci vorrebbe una settimana per osservare con attenzione tutto. Scorgiamo una selezionatrice di sementi che è un gioiello di inventiva, una sgranocchia pannocchie, un’irroratrice in legno del 1904 e poi ancora il necessaire per la bachicoltura, quindi mantici, utensili di ogni sorta. Tutto a ricordarci che, mentre oggi a chi lavora in Tenuta non è richiesta una sola competenza specifica, c’è stato un tempo in cui a San Leonardo operavano un falegname, un fabbro, ecc. 

Nel soppalco ricavato all’interno del Museo sono conservati preziosissimi documenti cartacei e fotografici, alcuni risalenti addirittura al XIII secolo. Ce n’è da far impallidire anche il più intraprendente dei collezionisti. Un coacervo di testimonianze di enorme utilità storica per la collettività, non solo trentina e italiana. Uno spazio considerevole è dedicato alla figura della Marchesa Gemma Guerrieri Gonzaga, che nel 1916 riuscì, grazie al suo spirito caritatevole ed alla sua determinazione, a far rimpatriare dalla Russia un numero davvero impressionante – 12mila persone – di prigionieri trentini, triestini ed istriani dell’esercito austro-ungarico, detenuti in Siberia.

La Villa e il roseto

Ma 300 ettari non sono propriamente un monolocale e il Marchese Anselmo lo sa bene. Per questo a bordo di una jeep scoperta mi accompagna in una sorta di mini safari, lungo i sentieri della Tenuta, che è tagliata tra l’altro dall’antichissima Via Claudia Augusta. Eccole le vigne, le “regine” di questo luogo incantato. Intanto, gli chiedo lumi sul mondo dei social. Come si affaccia un’azienda storica come questa su un palcoscenico tanto moderno e ipertecnologico? “Semplicemente. Noi raccontiamo la nostra storia, appunto. Non adattiamo il nostro essere al mercato, ma gli strumenti. Mio padre mi ha sempre insegnato come bisogna rimanere fedeli al proprio modello”.

In enologia, il rapporto che lega un vitigno al microclima e alle caratteristiche minerali del suolo in cui è coltivato; determina il carattere e l’unicità del vino che viene prodotto. Un concetto che si coglie molto bene da qui.

Ma eccoci quindi di fronte ad un possente tronco di castagno, piegato verso il terreno e sostenuto da un muricciolo di mattoni. È l’albero sotto il quale, secondo la leggenda (ma non troppo…) ebbero luogo le nozze della bella Principessa Teodolinda, figlia del re di Bavaria, con Autari, re dei Longobardi. Era l’anno 588. 

Un po’ distratti dalle reminiscenze storiche, mentre la jeep morde il sentiero, vediamo venirci incontro qualcuno. Si tratta proprio di Luigino Tinelli, il Direttore della Tenuta, che compie il suo mattutino giro di perlustrazione.

I Marchesi con l’enologo Carlo Ferrini

Torniamo al borgo, con gli occhi pieni di molte meraviglie botaniche. Ma non è finita qui. Tre appunti finali per chiudere. Anzitutto il nome alla Tenuta e quello dell’etichetta di punta vengono dalla cappella omonima, un piccolo gioiello di arte sacra che contiene un affresco del XII secolo: quasi certamente il più antico del Trentino. Quindi, il Bar Enoteca “La Botte”, situato proprio all’entrata della Tenuta. Infine, il terzo, che è un numero: 1724. Ci ha accompagnati durante tutta la visita. 

Se, come diceva Sigmund Freud, ogni numero ha in sé un significato che deriva sia dal simbolo grafico con cui viene scritto sia dai principi universali a cui è collegato, allora tra tre anni un importante anniversario investirà la Tenuta. Trecento anni vanno onorati in modo eccelso, almeno quanto eccelsi sono i vini qui prodotti. Si potrebbe, magari, festeggiare inaugurando un ristorante di gran classe. Che ne dice, Marchese? Lui mi guarda un po’ stranito. “Sa che forse mi ha dato un’idea?!”

Dai frati crociferi ai Marchesi
È  dell’anno 900, la prima testimonianza dell’esistenza di questo luogo (foto sotto), allorché il Vescovo di Verona concesse al suo pari grado di Trento boschi, prati e vigne situate nei Campi Sarni. Il piccolo feudo fu poi passato nel 1215 ai Frati Crociferi – un ordine religioso assai diffuso nell’Europa del tardo Medio Evo – che vi edificarono il loro monastero e dettero vita ad una florida, per il tempo, attività agricola. Nel 1656 subentrò nella proprietà la nobile famiglia trentina de Gresti per divenirne poi proprietaria nel 1724. L’antico cognome della famiglia – e parliamo di prima del 1400 – era Terzi, mutato poi in Guerrieri allorché nel 1445 uno dei suoi membri, Niccolò figlio di Ottobono, ebbe un ruolo di primo piano nella conquista della marchigiana rocca di Fermo. Nello stesso anno Niccolò andò ad offrire i suoi servigi alla corte mantovana dei Gonzaga e lo stesso fece il figlio Ludovico al quale, in segno di riconoscenza, il Marchese Francesco concesse nel 1506 il diritto di aggiungere al proprio, il nome e lo stemma Gonzaga nonché il titolo di Marchese.
Per la stabile presenza della famiglia Guerrieri Gonzaga in Trentino si deve attendere il 1894 quando il Marchese Tullo, nonno di Carlo Guerrieri Gonzaga, sposò Gemma de Gresti (foto), alla cui famiglia apparteneva da quasi due secoli la Tenuta San Leonardo. Fu loro figlio Anselmo a guardare alla proprietà con nuovo spirito imprenditoriale, a limitare le varie culture per valorizzare le potenzialità viticole dell’azienda dove erano già presenti varietà di matrice internazionale.
il Marchese Tullo, nonno di Carlo Guerrieri Gonzaga, con la signora Gemma de Gresti
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Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.