Un sogno nuovo, inedito, anzi, una fantasia ricorrente che si radica nella nostalgia di un’età dell’oro che ormai non c’è più, ma non per questo dobbiamo rinunciare e dimenticare un vagheggiamento che può aiutarci ad andare avanti, ricercando equilibrio e armonia tra il mondo di sotto e quello di sopra.
Dal giorno in cui sul monte Olimpo è stato costruito un impianto di risalita, sono una moltitudine le persone salite fino alla sommità della cima Mitikas, a quota 2917 m. Ovviamente all’arrivo sulla cima si constata che gli dèi non ci sono, non se ne trova traccia. Per me tuttavia questa non è assolutamente una prova che gli dèi non esistano, che il collegamento tra gli umani e il loro mondo non ci sia mai stato. Non bastano le assenze di resti palaziali o di banchetti divini per farmi retrocedere dal credere nella loro esistenza. Semplicemente gli dèi si sono allontanati, hanno cambiato montagna, stando ben attenti, questa volta, a non comunicarlo a noi umani. Noi siamo infidi, traditori e irriconoscenti verso chi ci ha aiutato per secoli, aprendoci alla conoscenza, all’apprendimento e alla padronanza del nostro Io. Per dirla con Gustav Jung, gli dèi sono diventati malattia e dietro di essa si nascondono i personaggi della mitologia che ancor oggi danzano sui nostri comportamenti consci e inconsci.
Quello che vale per gli dèi greci vale anche per tutti gli dèi, santi, santoni e profeti di qualsivoglia religione esistente. E ciò vale anche per i “luoghi” considerati sacri, luoghi che racchiudono in sé l’“aura” che ci fa capire che ci troviamo di fronte a un qualche cosa d’altro che non la semplice materialità. L’“aura” – come aveva ben scritto Elemire Zolla in Aure. I luoghi e i riti (1985) – definisce il confine, la separazione tra l’Io e l’altro, tra il microcosmo e il macrocosmo, tra il sacro e il profano. Ma non è un distacco rigido, una barriera: mille fili collegano il tutto, come una ragnatela, fili tessuti da millenni dagli uomini e dagli dèi e che la modernità illuministica e positivistica ha lentamente ma inesorabilmente tentato di recidere. Ho detto tentato. I fili, come gli dèi, non sono scomparsi, non sono stati dimenticati o buttati via. Semplicemente sono diventati invisibili.
Chi riesce a vederli, a scorgerli, a lacerare il velo che nasconde questi fili oggi? Gli artisti, i poeti, i letterati, le persone sensibili, gli ottimisti, i camminatori, i sognatori, i credenti che sono riusciti ad abbandonare dietro di sé razionalità e storicità delle cose.
Ecco, il mio desiderio, il mio sogno che rimarrà tale, aleggiante nel mondo delle utopie – e forse è giusto che rimanga tale, – è rimaterializzare questi fili, questi legami indissolubili tra il mondo visibile degli uomini e il mondo invisibile degli dèi. Un tempo per concretizzare questi legami si usavano il sacrificio e il rito – umano, poi con gli animali, quindi simbolicamente con il vino e il pane, ecc. –; oggi basta saper vedere oltre le nebbie del tempo, saper sentire, percepire ciò che sta fuori di noi e, contemporaneamente, dentro di noi, credere che i versi, i colori, la scrittura e la musica abbiano la funzione di un mantra, di parole dotate del potere di incidere sulla realtà. Bisogna tornare a “udire” la parola e dare peso, forza e senso a questo vocabolo, togliendolo dall’indolenza e dalla superficialità, dal pronunciarla e un secondo dopo dal ritrattarla, non sapendo che già di per sé la parola contiene il senso e il suo opposto, il basso e l’alto, il fuori e il dentro e non ha bisogno di essere contraddetta da altre parole (Michel Foucault ce lo aveva insegnato in Le cose e le parole). La parola deve essere “vista” e “sentita”, assaggiata e masticata. Ecco allora che i fili torneranno a farsi visibili e non serviranno regole, norme e leggi per regolare ciò che sta in terra perché le parole, come le bisacce, le abbiamo in testa e negli occhi, nelle orecchie e nel tatto, nel cuore e nell’anima.
La rinnovata alleanza tra la terra e il cielo, tra il conosciuto e l’ignoto, tra il mondo umano e gli esseri divini o fatati, riporterebbe l’armonia tra noi e il mondo dei nani minatori e quello dei folletti, delle donne sapienti e delle tenebrose voci degli orchi e degli stregoni, dei sognatori e dei raccoglitori di sentimenti.