Carne, desiderio, vita, emozione

In letteratura prendono il nome di “young adult”: sono storie di adolescenti, spesso emarginati e outsider, alle prese con tutti gli elementi propri di quell’età, dalla sensazione costante di non trovare un proprio posto nel mondo, alla prima esperienza con l’amore, sempre letto in chiave totalizzante, viscerale, coinvolgente. A infarcire, nel genere, troviamo spesso elementi magici, soprannaturali o mostruosi (indimenticabili ad esempio i tempi d’oro di “Twilight”, con l’elemento vampiresco). È con tutto questo, allora, che Luca Guadagnino si cimenta, nel suo ultimo lungometraggio vincitore del Leone d’argento alla 79esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, “Bones and All”, da poco nelle sale anche in Italia.

Tratto dal romanzo di Camille DeAngelis “Fino all’osso”, il nuovo film di Guadagnino confeziona, per estremizzare la sintesi, una versione cannibale di “Giulietta e Romeo”. È l’esempio di un genere pop che, passando tra le giuste mani, può diventare cinema d’autore. 

Protagonisti della pellicola, ambientata nelle pianure del Midwest (è la prima volta che Guadagnino gira interamente negli Stati Uniti) degli anni ‘80, allora, Maren (una pressoché sconosciuta Taylor Russell) e Lee (l’idolo delle ragazze Timothée Chalamet), due giovanissimi, due “diversi”, due esclusi della società, impossibili dell’amore dei genitori, poiché cannibali, alle prese con l’accettazione del sé – nonostante la consapevolezza della propria mostruosità – e con l’amore. Sarà l’uno nell’altra, infatti, che scopriranno per la prima volta il bene incondizionato, l’accettazione totale, la sensazione di “casa”.

Un coming of age che, contrariamente al titolo, è più “tutto che ossa”: è più carne, desiderio, vita, sensazione, emozione, che cannibalismo (metafora, probabilmente, di ogni dipendenza). E in tal senso si fa storia universale, in cui riconoscersi ed emozionarsi. Un paradossale film per ragazzi, vietato ai minori di 14 anni per i suoi elementi orrorifici (e davvero non mancano), capace di parlare, grazie alla maestria del regista, a chiunque. Un film nel quale sembrano convergere i percorsi passati di Guadagnino: da un lato, il rapporto con l’età adolescente, con l’amore puro e con la ricerca di se stessi, che già era presente rispettivamente in “Chiamami col tuo nome” (2017) e nella serie “We Are Who We Are” (2020); dall’altro il linguaggio horror, già magistralmente padroneggiato nel remake di “Suspiria” (2018). Un lungometraggio, ancora una volta di grande maestria estetica, che condensa una molteplicità di generi in un solo prodotto: ci sono, certo, come detto, il linguaggio dell’horror e gli elementi di coming of age, ma non mancano, ancora, le strutture tipiche del melò, o, ancora, le ambientazioni del road movie. In definitiva sì, un film con al centro due cannibali, può farsi delicato, può farsi, prima che trama e immagine, emozione. 

Portavoce della salvezza emotiva

Non è certo la prima volta, con “Bones and All”, che horror e romance vanno di pari passo. Un esempio è – seppure, al contrario del film di Guadagnino, privo di scene smaccatamente violente e orrorifiche – “Solo gli amanti sopravvivono” (“Only Lover Left Alive”), lungometraggio del 2013 di Jim Jarmush con Tilda Swinton e Tom Hiddleston. Al centro della vicenda, troviamo infatti due vampiri, che si fanno portavoce della salvezza emotiva e culturale di un mondo umano al suo sfacelo: i mostri diventano qui eletti, contro uomini che peccano della mostruosa convinzione d’essere vivi solamente perché batte loro il cuore. Un film romantico, delicato, a tratti post-decadentista.

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Pubblicato da Katia Dell'Eva

Laureata in Arti dello spettacolo prima, e in Giornalismo poi, nel quotidiano si destreggia tra cronaca e comunicazione, sognando d’indossare un Fedora col cartellino “Press” come nelle vecchie pellicole. Ogni volta in cui è possibile, fugge a fantasticare, piangere e ridere nel buio di una sala cinematografica. Spassionati amori: Marcello Mastroianni, la new wave romena e i blockbuster anni ‘80.