Fomo. Sconnessi mai

Fear of missing out, ovvero paura di essere tagliati fuori. È questo il significato di FOMO, acronimo con cui si definisce il fenomeno sociale che corrisponde al timore di perdere o di non partecipare a un’esperienza piacevole e gratificante che coinvolge invece amici o persone con cui siamo in contatto.

La FOMO è spesso associata alla digitalizzazione della nostra quotidianità e alla nostra connessione costante ma, come spiega Ilaria Cataldo, psicologa clinica e dell’età evolutiva che ha curato una ricerca su questi temi alla facoltà di Scienze Cognitive dell’Università di Trento, non si tratta di un fenomeno tanto recente: «Si tende ad associare la FOMO ai social media – commenta – ma il fenomeno esiste da prima e rappresenta la paura di non essere presente, di non vivere esperienze piacevoli e gratificanti. I social, come ogni media – prosegue Cataldo – amplificano la nostra esposizione perché ci offrono uno sguardo molto più ampio sulla vita degli altri e sulle loro esperienze anche lontano da noi. Pensiamo alle “stories”, per esempio: durano 24 ore, se un personaggio famoso fa un annuncio utilizzando questo strumento o le vedo nel tempo in cui sono disponibili, oppure resto tagliata fuori». 

La parola non sembra essere così nuova come si potrebbe pensare e, come molte altre definizioni del mondo contemporaneo arriva dagli Stati Uniti: «Il termine è stato coniato nel 2004 dall’imprenditore americano Patrick J. McGinnis per raccontare della sua vita al college – aggiunge Ilaria Cataldo – quando tra un evento e l’altro si perdeva e temeva di rimanere, appunto, tagliato fuori da momenti importanti o esperienze gratificanti». Dai primi anni ‘10 del 2000, inoltre, è stata inserita nei principali dizionari di lingua inglese per arrivare nel 2015 nell’elenco dei neologismi di Treccani e nel 2022 nel dizionario Zanichelli, anche se ne avevano parlato i principali giornali italiani già a partire dal 2011. 

Nonostante la questione sia all’attenzione di molti da circa vent’anni, però, è ancora difficile avere dati certi sulla diffusione della FOMO. Spiega Ilaria Cataldo: «Non ci sono ancora linee guida mediche o criteri diagnostici: per questo è ancora molto difficile tracciare precisamente la diffusione, dare dei numeri reali». 

È però possibile identificare chi è più esposto al pericolo di soffrire di questo tipo di disturbo: «Certamente c’è più rischio per le persone che hanno una fragilità del senso di appartenenza. E anche se non sono gli unici, questo è un tema che emerge spesso nei più giovani: adolescenti e preadolescenti, ovvero ragazzini e ragazzine di 11 o 12 anni. Anche se si consiglia l’utilizzo dei social non prima dei 13 anni, sappiamo bene che la realtà è diversa. A quell’età il gruppo di amici è fondamentale e la paura che “tutti partecipino a esperienze o attività gratificanti senza di me”, è più comune. Questo può accadere con esperienze di tipo reale ma anche online: pensiamo per esempio alle chat di gruppo e alla sofferenza che può portare il restarne esclusi».

La dott.ssa Ilaria Cataldo

Gli anni della pandemia e in particolare i periodi di lockdown hanno messo tutti e tutte nella posizione di avere necessità di essere sempre davanti a computer o telefono e, seppur tutti fossimo chiusi in casa, la FOMO ha avuto un momento di possibile sviluppo: «Durante i periodi di isolamento – dice sempre Ilaria Cataldo – l’essere costantemente connessi ha fatto nascere un altro fenomeno, quello dei trend da seguire: cucinare, fare sport, cantare sui balconi. Condividere la propria routine era quasi un dovere, con l’esigenza di renderla sempre più interessante. Essere sempre connessi in un momento come quello è stata un’arma a doppio taglio: da un lato è stato di grande aiuto per limitare lo smarrimento, dall’altro ha portato all’esposizione più alta a paure come la FOMO. C’è però anche da dire che in Italia si navigava a vista comune per comune, quindi a volte le regole che gli amici che vivevano nel comune vicino dovevano rispettare erano diverse dalle mie: in questo caso non so quanto potessimo parlare di FOMO quanto più di sana frustrazione per non poter vivere la socialità».

La FOMO porta con sé una serie di altri disturbi ad essa connessi: dalla perdita del sonno per stare davanti al telefono fino alla FOBO (Fear Of Better Option) che porta alla non scelta per paura di prendere la strada sbagliata attivando dei circoli viziosi e manie di controllo per un bisogno di partecipazione costante e globale. Il rischio è però che il tempo scappi nel tentativo di controllare cosa ci si perde o quali altre opzioni potrebbero essere migliori tanto che ci si sente poi incapaci anche solo di uscire di casa, schiacciati da un senso di impotenza

Ci sono modi per prevenire l’insorgenza della “Fear Of Missing Out”? 

«La prevenzione della FOMO – risponde Cataldo – è strettamente collegata all’educazione emotiva, anche perché spesso è legata alla psicologia individuale: i social sono strumenti, le persone hanno vissuti propri». E poi prosegue: «Chi è più ansioso è certamente più a rischio e interventi di prevenzione dovrebbero concentrarsi sull’alfabetizzazione alle emozioni: definire gli stati d’animo restituisce all’emozione il suo significato. E poi – continua – andrebbe messa in atto un’educazione alla sospensione dell’uso dei social, riempiendo il tempo con attività che facciano bene, che siano nutrienti. Si tratta di un allenamento: ritagliare dei tempi senza notifiche continue, magari in momenti specifici della giornata come la pausa pranzo, è un tempo che ci si dedica, è prendersi cura di sé».

Tutto questo vale certamente per gli adolescenti, ma la psicologa ricorda come il lavoro parta sempre dagli adulti: «I bambini e i ragazzi si basano per lo più su comportamenti appresi dagli adulti di riferimento, anche per imitazione. E se è vero che sono nativi digitali e per questo hanno familiarità più alta con lo strumento – conclude – è altrettanto vero che continuano ad avere sempre bisogno del modello e dell’esperienza degli adulti».

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Pubblicato da Susanna Caldonazzi

Laureata in comunicazione e iscritta all'Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige dal 2008, inizia la sua esperienza professionale nella redazione di Radio Dolomiti. Collabora con quotidiani, agenzie di stampa, giornali on line, scrive per la televisione e si dedica all'attività di ufficio stampa e comunicazione in ambito culturale. Attualmente è responsabile comunicazione e ufficio stampa di Oriente Occidente, collabora come ufficio stampa con alcune compagnie, oltre a continuare l'attività di giornalista free lance scrivendo per lo più di di cultura e spettacolo. Di cultura si mangia, ma il vero amore è la pasticceria.