Sonnambuli al fronte della prima guerra. E oggi?

L’imperatore Francesco Giuseppe d’Asburgo dà il benvenuto all’imperatore prussiano Guglielmo II alla stazione di Hetzendorf, circa 1910

“Re, imperatori, ministri, ambasciatori, generali: chi aveva le leve del potere era come un sonnambulo, apparentemente vigile ma non in grado di vedere, tormentato dagli incubi ma cieco di fronte alla realtà dell’orrore che stava per portare nel mondo”: così sir Christopher Clark, storico australiano che vive nel Regno Unito e in Germania. Lo fa nel suo libro del 2012 “I sonnambuli: come l’Europa arrivò alla Grande guerra” (Laterza), parlando appunto di come il mondo si è avviato, poco più di 100 anni fa, alla Prima guerra mondiale, l’immane tragedia che ha imperversato anche sulle nostre montagne e che ha cambiato la collocazione geopolitica di questa terra di confine. 

Ricordo che dopo il crollo del Muro di Berlino la tesi che fece più discutere, la più audace, e anche la più controversa, fu quella della “fine della storia” (una storia intesa come governata dalle dinamiche dei conflitti), di Francis Fukuyama. Dieci anni dopo, in seguito all’attacco alle Twin Towers, si impose invece quella dello scontro di civiltà, di Samuel Huntington

Quella di Clark è una nuova tesi “forte”? È possibile. Angela Merkel la evocò in un discorso del 2013, ma parlava della crisi dell’Europa dell’euro, di scenari che ora sembrano bazzeccole. Certo, se le tesi precedenti si sono rivelate, in fondo, sbagliate (la storia non è finita dopo la fine dell’Urss e della Guerra fredda, e il conflitto di civiltà, in particolare fra Occidente e mondo islamico, non è deflagrato dopo l’attacco alle torri gemelle di NYC) possiamo sperare che anche questa sia destinata a rivelarsi errata. Ma se non lo fosse? Intanto vediamola in sintesi. Per Clark le potenze dell’epoca, e i loro statisti, non capirono realmente cosa stava succedendo. Ognuna di esse  si sentiva minacciata e pensava di stare facendo solo ciò che era necessario per difendersi. I contendenti andarono al Fronte come se fossero in tranche, come sonnambuli appunto, o come bambini. Alleanze precedentemente siglate, con i loro automatismi, ultimatum sbagliati, superficialità delle opinioni pubbliche e delle classi dirigenti, pressioni di lobbies militariste e irredentiste portarono nel giro di pochissimo alla catastrofe. L’idea di fondo coltivata dalle cancellerie fino all’ultimo era che l’avversario si sarebbe ritirato un attimo prima del primo colpo di fucile. Oggi sappiamo che così non fu e che una crisi “periferica”, esplosa a Sarajevo con i colpi di pistola sparati dal nazionalista Gavrilo Princip contro l’erede al trono degli Asburgo (tipico esempio di “barbarie balcanica” la definirono con sufficienza molti giornali dell’epoca) portò nel giro di un mese a un’apocalisse mondiale.  

Clark conclude il suo studio dicendo che in realtà le diplomazie odierne non commetterebbero gli stessi errori. Ma questo studio, lo ricordiamo, è stato pubblicato più di 10 anni fa.  Qualcuno sostiene invece che lo scenario di allora è molto simile a quello attuale. E che il conflitto totale non scoppierà probabilmente fra Nato e Russia ma fra America e Cina, anche se uno non esclude l’altro. Sarà nucleare? Non credo. Chi ha interesse a trasformare estese parti del pianeta in un deserto radioattivo? Ma questo non consola. Le guerre tradizionali, lo vediamo in Ucraina (così come lo vedemmo sull’Adamello, sul Carso, o sull’Altopiano dei Sette Comuni), sono tutt’altro che a bassa intensità. Le opinioni pubbliche dal canto loro non sembrano temere lo scontro: il 70% dei cinesi è favorevole a riannettere a forza Taiwan, e più della metà degli americani si dice altrettanto pronto a difendere la libertà di Taiwan con la forza. 

Sia come sia, un dato su tutti: nel giro di 10 anni le spese militari sono aumentate a livello globale del 12 per cento, raggiungendo il record di 2113 miliardi di dollari. Dove c’è il sintomo, quasi sempre si nasconde la malattia.

Condividi l'articolo su:
Avatar photo

Pubblicato da Marco Pontoni

Bolzanino di nascita, trentino d’adozione, cittadino del mondo per vocazione. Liceo classico, laurea in Scienze politiche, giornalista dai primi anni 90. Amori dichiarati: letteratura, viaggi, la vita interiore. Ha pubblicato il romanzo "Music Box" e la raccolta di racconti "Vengo via con te", ha vinto il Frontiere Grenzen ed è stato finalista al premio Calvino. Ma il meglio deve ancora venire.