Entrare in un grande albergo dismesso fa uno strano effetto. All’inizio prevale la curiosità, ma dopo un po’ ci si sente a disagio: girando l’angolo del terzo interminabile corridoio, passando accanto a una specchiera, o richiudendo la porta della sala di lettura, si viene presi dalla sensazione che quegli spazi semivuoti non siano del tutto disabitati.
Nell’aprile del 2016 mi capitò di visitare un grande complesso alberghiero al Passo della Mendola, chiuso da parecchi anni, ma ancora completamente arredato. Percorrendo con il custode gli ambienti dello storico edificio, in una saletta del pianterreno notai, appoggiato al pavimento, un dipinto che mi parve, fin dal primo sguardo, fuori contesto. Non si trattava, infatti, di uno di quei paesaggi dozzinali o di quelle nature morte a vivaci colori che si vedono nelle sale da pranzo di ogni hotel. Il quadro rappresentava un uomo al lavoro in un laboratorio di chimica, con un matraccio tra le mani: tutto faceva pensare al ritratto di uno scienziato ripreso nell’atto di compiere un esperimento. Vestito di bianco, ma non in camice, l’individuo era circondato da burette e altri recipienti di vetro e d’acciaio, sui quali si rifletteva una luce glaciale. Lo stile era quello diligente e iperrealistico del cosiddetto “ritorno all’ordine”, tipico della pittura italiana degli anni Trenta: qualcosa tra Cagnaccio di San Pietro e Leonardo Dudreville. Feci una fotografia e trascrissi la firma visibile sulla tela: “EDGARDO ROSSARO. MDMXXXII”. La foto rimase in fondo a una chiavetta e solo di recente ho trovato il tempo per fare qualche ricerca.
Rossaro fu un pittore piemontese di formazione accademica. Nato a Vercelli nel 1882, morì a Rapallo novant’anni dopo, nel 1972. Confrontando il dipinto con alcune fotografie dell’artista reperibili in rete risulta subito evidente che quello della Mendola è un suo autoritratto: la tela è datata 1932, quando il pittore contava cinquant’anni, e l’età dimostrata dall’effigiato corrisponde pienamente a quella di un cinquantenne. Non so spiegare perché si sia raffigurato nelle vesti di un chimico, né come questo quadro sia finito tra gli arredi di un albergo della Val di Non, per rimanervi fino ad oggi dimenticato.
Dopo una prima formazione nella sua città natale, nel 1903 Rossaro si diplomò all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Trasferitosi a Firenze, vi tenne la sua prima mostra nel 1908. Durante la prima guerra mondiale, benché riformato per motivi di salute, combatté come volontario con gli Alpini sui monti del Cadore. Al fronte si fece conoscere come pittore di guerra ma anche come improvvisato ufficiale sanitario, data l’assenza di un medico. È dunque probabile che s’interessasse di medicina o almeno di farmacia. In trincea divenne amico dello scrittore Piero Jahier, col quale collaborò alla redazione del giornale militare “L’Astico”, e del legionario trentino Italo Lunelli.
Nel primo dopoguerra Rossaro riprese la professione di pittore, operando in particolare a Ferrara, dove l’imprenditore Ferdinando Grandi di Bondeno divenne suo mecenate. Nel 1921 da Firenze si trasferì a Milano e quindi, nel 1927, a Rapallo. Lo stesso anno allestì una sua mostra personale alla Galleria del Corso di Milano. Una delle opere più rappresentative della sua pittura, La sentinella, si conserva a Pieve di Cadore nel Museo della Magnifica Comunità. Nel 1939 pubblicò le proprie memorie del periodo bellico in un libro illustrato dal titolo La mia guerra gioconda.
Rossaro mantenne sempre i contatti con il Corpo degli Alpini ed è forse questa la ragione che spiega la presenza di un suo autoritratto in Trentino. Recentemente si sono tenute, a Pietrasanta e a Ferrara, delle mostre retrospettive con l’intento di rivalutare la sua produzione artistica. Tuttavia, come accade per ogni individuo, non tutto si può sapere della vita di un artista, né si può sperare di ricostruire il percorso seguito da ogni opera d’arte. Talvolta ci si deve accontentare della pura evidenza di una piccola scoperta inaspettata.