L’evasione che porta solo un poco più in là

Vivevano da decine di anni come due vicine di casa qualunque: scambiandosi qualche favore e tenendosi d’occhio più per curiosità che per premura. Abituate a trovarsi per strada, davanti all’uscio, ogni tanto alla cooperativa o dalla parrucchiera, regolarmente al mercato o in chiesa prima che arrivassero le mascherine e “Il Virus”, faticando ancora a chiamarlo con il nome scientifico. Erano abituate alla vita di paese dove la domenica si mette il vestito buono per la messa e i nipoti vengono a portare un po’ di allegro e chiassoso disordine in casa, consapevoli di trovare sempre qualcosa di buono preparato dalle mani della nonna da mettere sotto i denti.
Poi si è fatta largo quell’ombra del senso di abbandono, il bisogno di sapersi vicine a qualcuno, di scacciare il senso di solitudine. Hanno iniziato un po’ per caso, un po’ per necessità. La battuta nell’androne di casa che ha dato il là a tutto, l’ha fatta la signora della Scala A, Emma: “Oh, erano belli i tempi in cui ti dicevo non viene mai nessuno a trovarmi ma, in realtà, sapevi benissimo anche tu che era passato mezzo paese e tutti i parenti!” La risata della signora della Scala B, mentre appoggiava i sacchetti a terra e si aggrappava al corrimano, era esplosa rimbombando in quello spazio vuoto. Dalla risata alle lacrime sarebbe stata questione di pochi secondi se le due donne, guardandosi, non avessero avuto la stessa idea che, pian piano, con l’aggravarsi della situazione e il lockdown, avrebbe preso forma. Certo, qualche resistenza per la questione sicurezza c’era stata da parte di entrambe e dei parenti, eppure era un modo, forse l’unico, per badare a se stesse.

Così, ormai da mesi, tutti i giorni, alle dieci in punto, dopo una rapida capatina al piccolo supermercato di paese, di quelle cooperative dove ancora si può trovare di tutto: dalla ferramenta al pane, passando per i giornali e i tabacchi, Clelia suonava il campanello della vicina portando la spesa per due. Si presentava sempre con un tailleur, una candida camicia impreziosita da un foulard e delle scarpe a mezzo tacco, i capelli corti ordinati dalla permanente e un filo di trucco. Insomma, una signora ormai affacciata agli ottanta, tutt’altro che disposta a rinunciare all’essere elegantemente impeccabile. Sedeva con la borsetta in coordinato sulle ginocchia, aspettando che l’amica versasse il caffè d’orzo e si accomodasse con lei.
Emma era diversa: la sua eleganza era il suo disordine incantevole. Abituata a passare molto tempo tra i fiori che coltivava, non era raro trovarla con gli stivali in gomma, un pantalone di lana e un paio di maglioni infilati uno sopra l’altro senza badare ai colori. Portava i capelli lunghi raccolti in uno chignon morbido e aveva sempre le mani sporche di terra o farina. Quando arrivava Clelia si dava una sistemata, si scusava del proprio stato e sfoggiava il suo miglior sorriso insieme al servizio buono. Le due dividevano la spesa e facevano i conti al centesimo.
Con il tempo erano diventate amiche, confidenti, nonostante le diversità, nonostante le distanze imposte e mascherine che facevano su e giù sui loro volti. Si erano accorte di avere bisogni simili, lo stesso amore per i luoghi dell’infanzia, qualche piccola passione in comune, le stesse nostalgie in un periodo così instabile. E la stessa paura del futuro e degli ospedali.
Di queste cose parlavano fitto fitto ogni mattina, prima del pranzo. Sapevano godere di quel breve momento privilegiato per ascoltarsi e poi dire: “Si è fatto tardi, il tempo è volato, torniamo alle nostre prigioni”. E sorridevano nel sapere che l’evasione, a volte, è una porta poco più in là.

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Pubblicato da Denise Fasanelli

Mamma insonne e sognatrice ad occhi aperti. Amo la carta, la fotografia e gli animali. Ho sempre bisogno di caffè. Non ho bisogno di un parrucchiere, d’altronde una cosa bella non è mai perfetta. Ho lavorato nel campo editoriale, della comunicazione e mi sono occupata di marketing per alcune aziende. Ho pubblicato un libro insieme all’ex ispettore Pippo Giordano: “La mia voce contro la mafia”(Coppola ed. 2013). Per lo stesso editore, ho partecipato, in memoria dei giudici Falcone e Borsellino, al libro “Vent’anni” (2012) con un racconto a due mani insieme all’ex giudice Carlo Palermo.