“L’Ospedalino”: una sanità che oggi sarebbe impossibile

A più di trent’anni dalla sua chiusura, il cosiddetto Ospedalino di Trento resta un luogo della memoria. Chiuso nel 1991, rappresentò una struttura ospedaliera a suo modo all’avanguardia, poiché raccoglieva gli esiti più fruttuosi non solo della scienza medica ma anche della nuova consapevolezza della “specialità” che caratterizza l’infanzia. Il Novecento fu infatti il secolo in cui si comprese finalmente che i bambini non sono “adulti in miniatura”, come per secoli si è ritenuto e come dimostrava la pratica diffusa del lavoro infantile, ma soggetti speciali in via di evoluzione, che richiedono un approccio più attento alle loro esigenze di crescita, sia sotto il profilo sociale che sanitario.

9 novembre 1924. I primi lettini nel giorno dell’inaugurazione dell’Ospedalino in via della Collina a Trento

L’OSPEDALE “ANGELI CUSTODI”

L’Ospedalino di Trento, nome confidenziale che abbreviava e addolciva il suo nome ufficiale di “Ospedale Infantile Regionale ‘Angeli Custodi’ di Trento”, era collocato in una struttura nei pressi di via Cervara, per la precisione in via della Collina, a poche decine di metri da piazza Venezia. Quando un bambino stava male, non si correva all’Ospedale Santa Chiara, all’epoca sprovvisto di un reparto organizzato di pediatria, ma all’Ospedalino. I numeri complessivi non sono definiti: si parla di centinaia di migliaia di bambini passati per l’Ospedalino, ma furono certamente diecimila i neonati ricoverati negli ultimi 25 anni di vita della clinica. Fu dunque per decenni il punto di riferimento cittadino, ma anche regionale, per la salute dei bambini. Questo, nonostante i rapporti non idilliaci con i colleghi del Santa Chiara; lo racconta il dottor Dino Pedrotti, neonatologo, ex primario dell’Ospedalino, tra i fondatori dell’Associazione Neonatologia Trentina: «Avevamo pochissimi rapporti con il Santa Chiara, anche dopo la fusione del 1972. Ci consideravano i “parenti poveri”». 

UNA STRUTTURA MODERNA

Dall’apertura avvenuta il 7 dicembre 1920 alla chiusura del 15 giugno 1991, l’Ospedalino accompagnò la trasformazione di Trento da realtà sostanzialmente rurale a città a vocazione europea. Lo mostrano alcuni dati, in particolare quelli riguardanti i neonati prematuri. Nel 1970, tra i neonati di peso inferiore a 1,5 chili, ne sopravviveva solo uno su 4. Già nel 1990 ne morivano il 5%. Tra i fattori che contribuirono in maniera cruciale a questo drastico calo vi fu proprio la possibilità di rivolgersi ad una struttura pediatrica realmente avanzata per l’epoca. Furono introdotti alcuni accorgimenti molto moderni che incontravano la sorpresa e persino la contrarietà dei genitori: ad esempio, un vetro teneva separati la sala in cui stavano i bimbi ricoverati dai genitori con il loro abbraccio caloroso e qualche volta invadente. Mamma e papà dovevano limitarsi a guardare il loro pargolo da una certa distanza, per ragioni igieniche, mentre l’infermiera li rassicurava attraverso la vetrata.

Il prof. Dino Pedrotti, ex primario dell’Ospedalino, tra i fondatori dell’Associazione Neonatologia Trentina

PROBLEMI LOGISTICI 

Per Pedrotti il limite principale della struttura era la sua ubicazione: «Se negli anni Venti non c’erano certo problemi di traffico, le cose cambiarono con gli anni Sessanta e la diffusione popolare delle automobili. L’Ospedalino si trovava in cima ad una ripida ed angusta salita che diventava quasi impraticabile d’inverno, causando gravi problemi ai mezzi per le emergenze». L’ex primario ricorda come l’entrata per le ambulanze fosse “troppo bassa” e il paziente dovesse essere trasportato “a mano” in barella o in incubatrice per diversi metri: «Si parlò persino di realizzare un ascensore o una funicolare nella cava di roccia sottostante, per creare un passaggio alternativo, ma non se ne fece nulla», scrive Pedrotti.

Sempre tra i limiti dell’Ospedalino, Pedrotti individua un certo “classismo”, non insolito nelle cliniche dell’epoca: «Chi aveva possibilità economiche oppure chi aveva una mutua che lo consentiva, ricoverava il figlio in un reparto al terzo piano con prima e seconda classe».

«TANTI INTERVENTI, FORSE TROPPI»

Nel 1991, dopo settant’anni, l’Ospedalino chiuse i battenti: era stato costituito il reparto di Pediatria del Santa Chiara e si era diffusa la presenza sul territorio dei pediatri di base, rendendo il controllo della salute del proprio bimbo sempre più elastico e personalizzato, rendendo obsoleta una clinica pediatrica “omnibus” come era l’Ospedalino, dedicata ad una vasta gamma di situazioni mediche. Scrive Pedrotti: «Si facevano tanti interventi, forse troppi. Negli anni Sessanta si toglievano le tonsille al 5 per cento dei bambini, si prescrivevano un gran numero di scarpe ortopediche e cicli di ginnastica posturale. Tutti i traumi cranici restavano ricoverati sette giorni, fino a venti se era presente la minima frattura». Un’altra èra geologica insomma, in cui la sanità pubblica non doveva fare fronte ai tagli, alle razionalizzazioni, alle “spending review”. Insomma, l’Ospedalino non esiste più da quasi trent’anni, ma la sua vicenda continua a popolare i nostri ricordi. Ci parla di una Trento che non c’è più, con tantissimi bimbi nati e famiglie numerose, così come ci parla di una sanità molto diversa: forse meno “smart” di quanto sia oggigiorno, ma devota alla salute dei pazienti, anche al costo di spendere tanti soldi, soprattutto perché aveva la responsabilità estrema, quella di prendersi cura della salute dei bambini.

Da sx in alto, Lino Caliari, Pietro Nocolaj, Marcello Malossi, Aldo Salvadei, Leo Bertola, Giorgio Defant, Francesco Crosato, Silvio Belli, Gaetano Scilieri e Pietro Lauro

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Pubblicato da Fabio Peterlongo

Nato nel 1987, dal 2012 è giornalista pubblicista. Nel 2013 si laurea in Filosofia all'Università di Trento con una tesi sull'ecologismo sociale americano. Oltre alla scrittura giornalistica, la sua grande passione è la scrittura narrativa. È conduttore radiofonico e dal 2014 fa parte della squadra di Radio Dolomiti. Cronista per il quotidiano Trentino dal 2016, collabora con Trentinomese dal 2017 Nutre particolare interesse verso il giornalismo politico e i temi della sostenibilità ambientale. Appassionato lettore di saggi storici sul Risorgimento e delle opere di Italo Calvino.