“Maranza” a chi?

Non è la prima volta che scrivo di linguaggio giovanile, d’accordo. Ma l’ambiente lavorativo – nello specifico l’aula scolastica – è una tale fucina di spunti e di suggerimenti che non solo non possono essere tralasciati ed evitati, ma che diventano anche interessanti opportunità da essere colte al volo e tradotte in idee da condividere. 

Ma procediamo con ordine. Siamo in fase di stesura di un testo che deve prendere spunto da una bella pagina di Aldo Nove, scrittore definito “pulp”, nonché attento osservatore del mondo dei giovani, ritratti in contesti suburbani molto aderenti alla realtà, come i centri commerciali delle grandi periferie. E anche in questi contesti duri e poco romantici – come in un Iper del Varesotto – riescono a innamorarsi. Il romanzo “Amore mio infinito” racconta la vita di Matteo attraverso le quattro storie d’amore che hanno segnato la sua giovane vita di ventottenne. In una di queste parla di Silvia, la compagna di classe alla quale ha dato il primo bacio. La struttura linguistica si caratterizza per uno stile spezzato e frammentato, con molti ritorni a capo che suonano come la naturale successione dei pensieri. Compito degli studenti è stato dunque quello di prendere ad esempio il testo per raccontare in cinque periodi una persona che fa (o faceva parte) della loro vita. Il lavoro piace, più o meno tutti si buttano sulla tastiera e cominciano a raccontare, privilegiando la figura dell’amica/o e dei compagni di scuola. 

Ed ecco che arriva la domanda. “Posso scrivere che il tale è un po’ maranza?” 

Da vera boomer, chiedo spiegazioni su chi sia questo “maranza”, avanzando l’ipotesi (errore!) che abbia a che fare con l’omonimo rifugio che si trova a pochi chilometri da Trento. “Ma noooo prof!” E allora mi spiegano. Si tratta del tipo – sintetizzano loro – che gira con i pantaloni abbassati e che presenta tutta una serie di caratteristiche ben definite. Naturalmente mi documento e scopro in primis che il termine maranza non è nuovo, ma entra in circolazione a Milano negli anni Ottanta, per identificare il tipico ragazzo tamarro o coatto, come si dice a Roma. Leggo su Internet che è possibile far risalire il termine maranza dall’unione di due parole: “marocchino” e “zanza”, nonostante poi si sia esteso a ogni tipo di giovanissimo, a prescindere dalla provenienza. 

I maranza di oggi si distinguono però per un look più specifico rispetto al passato e sono riconoscibili da alcuni elementi distintivi: la tuta acetata, le maglie ufficiali delle squadre di calcio, il piumino smanicato e l’immancabile cappellino. L’accessorio più iconico? Senza dubbio la tracolla, accompagnata da altri accessori vistosi, come collane a maglia grossa e orologi. Ma a rendere il senso della specificità del personaggio, c’è il marchio, vero o contraffatto che sia. Non per niente, gli abiti e gli accessori indossati dai maranza sono molto spesso griffati, ovvero di marca. 

Oltre al look, i maranza degli anni Venti sono passati dalla strada – anzi dalla street – a TikTok, pubblicando video e storie in maniera diretta o indiretta, cioè raccontati da chi li incontra. 

E sono sempre loro i protagonisti dei maxi raduni, ultimo quello a Peschiera del Garda, organizzato sui social e motivo di attenzione da parte dei sindaci della zona e delle forze dell’ordine, per evitare di assistere a episodi simili a quelli avvenuti lo scorso anno, quando centinaia di giovani avevano invaso le spiagge della zona compresa tra Peschiera, Castelnuovo e Desenzano. Un evento degenerato in risse e danneggiamenti selvaggi, che ha creato molti disagi. 

E allora mi ritornano in mente le bande di ragazzi della via Pal, che nelle pagine di Molnar continuano a lottare per sopravvivere, per trovare spazi, per crescere in un mondo di adulti puntellato di regole. Ne combinano tante nella Budapest di fine Ottocento; ma quello che vorrei ricordare è che la storia si conclude con la sconfitta di entrambe le bande. Un finale amaro, che sgretola i sogni fragili dei ragazzi. Anche di quelli un po’ maranza. 

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Pubblicato da Tiziana Tomasini

Nata a Trento ma con radici che sanno di Carso e di mare. Una laurea in materie letterarie e la professione di insegnante alla scuola secondaria di primo grado. Oltre ai grandi della letteratura, cerca di trasmettere agli studenti il piacere della lettura. Giornalista pubblicista con la passione della scrittura, adora fare interviste, parlare delle sue esperienze e raccontare tutto quello che c’è intorno. Tre figli più che adolescenti le rendono la vita a volte impossibile, a volte estremamente divertente, senza mezze misure. Dipendente dalla sensazione euforica rilasciata dalle endorfine, ha la mania dello sport, con marcata predilezione per nuoto, corsa e palestra. Vorrebbe fare di più, ma le manca il tempo.